Cronaca

Naufragio sul Nilo, 25 anni fa una cremonese salva per miracolo

Poche ore fa, la tragedia sfiorata del “Re del Nilo”, la nave egiziana arenatasi sulla rotta Luxor Assuan, con 118 persone a bordo che hanno rischiato grosso. Un dramma sfiorato, che riporta alla memoria un dramma vero, quello della nave da crociera Nubia, avvenuto quasi 25 anni fa e di cui fu protagonista anche la cremonese Giovanna Uberti, in vacanza con il marito lungo la rotta dei faraoni. “Il tempo ha rimosso molte cose – racconta Giovanna, responsabile della pelletteria ‘Bettina’ – ma certamente non ho più avuto nessuna voglia di tornare in Egitto”. Già, perché in quel naufragio, che per certi versi ricorda anche quello della Costa Concordia, persero la vita 36 persone, rimaste intrappolate nelle loro cabine dopo che la nave si era capovolta. “Noi ci siamo salvati solo perché al momento del ribaltamento eravamo nel bar sul ponte. C’era una terribile tempesta di sabbia, era impossibile stare all’aperto. La nave pescava poco ed era molto alta, ad un certo punto si capovolse. Fui subito risucchiata fuori, i mobili che non era fissati spaccarono i vetri. Avvenne tutto in pochi secondi, neanche il tempo di rendersene conto e mi trovai sbalzata in acqua. Non so come riuscii a riaffiorare, aggrappandomi a dei mobili che galleggiavano. Poi sono arrivate piccole barche di pescatori, tipo quelle che si vedono sul Po, che ci hanno soccorso”. Erano le 16 del 10 agosto dell’88 e molti degli 86 passeggeri stavano riposando nelle loro cabine. Le vittime del disastro si contarono proprio tra questi sfortunati, rimasti intrappolati.

Ma oltre allo choc del momento i turisti furono sottoposti ad un’angosciante tour de force prima di poter tornare in Italia. “Ci portarono in un ospedale con pavimento in terra e siccome non c’erano letti, fecero alzare i ricoverati per sistemarci. Noi ci rifiutammo e fummo alloggiati all’esterno, su delle panche. Gente ferita, praticamente senza vestiti, circondata da guardie armate perchè la polizia temeva un atto terroristico. Solo grazie alla generosità del popolo egiziano, non delle autorità, riuscimmo a metterci qualcosa addosso. Dovemmo attendere un bel po’ prima di venire interrogati con un interprete. Poi venne il pullman a prelevarci, ma prima di poter salire a bordo dovemmo attendere altre due ore perchè il mezzo era troppo grande per passare dal cancello e le autorità non volevano farci uscire dal recinto. Finalmente fummo imbarcati; all’arrivo in Italia ci fecero uscire da una porta laterale per evitare di farci incontrare i giornalisti”. Il giorno seguente partì una causa per il risarcimento delle vite umane perse e dei danni ai sopravvissuti. Una vicenda giudiziaria che si protrasse per ben 10 anni.

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