Il ritorno della Sacra Tavola a S. Agata Restaurata dopo il furto della cornice
La Sacra Tavola è in restauro. Questo, da circa due anni, i parrocchiani e i visitatori della chiesa di sant’Agata si erano abituati a leggere sul cartoncino bianco posto alla base delle fotografie della sacra Tavola, affisse in vicinanza dell’altare dedicato alla santa catanese. Dopo il furto di una parte della cornice barocca che contornava la Tavola, furto avvenuto nella mattinata del 31 gennaio 2011, subito dopo l’esposizione al culto dei fedeli per i 15 giorni a cavallo della solennità di S.Agata e mentre l’attenzione di tutti era rivolta all’innalzamento della nuova grande campana di quasi 12 quintali sulla torre, l’opera era stata prelevata dalla sua sede per essere sottoposta a restauro.
Non possiamo nascondere che molti parrocchiani cominciavano a dubitare che il trasloco della Tavola in Curia per il restauro, potesse nascondere una provvisorietà all’italiana, “Niente è più definitivo del provvisorio”, anche perché avvenuto in un periodo nel quale sembrava di grande attualità l’organizzazione di un Museo Diocesano nel quale sicuramente la Tavola sarebbe stata pezzo di grandissimo pregio; monsignor Bonazzi, interpellato a più riprese su questo tema, ci aveva però sempre rassicurati rispetto al ritorno nella chiesa di sant’Agata.
In effetti all’avvicinarsi della festa liturgica dedicata alla Santa, coloratissime locandine esposte alle porte della chiesa e nelle vetrine di molti negozi della zona Cittanova, hanno informato i parrocchiani del solenne ritorno della sacra Tavola, presumibilmente per il giorno della festa liturgica, con presentazione dei restauri e ostensione solenne al culto dei fedeli nel pomeriggio di venerdì 8 febbraio.
La Tavola sarà contenuta in una teca di sicurezza e resterà definitivamente esposta nello spazio ai piedi dell’altare dedicato alla Santa, senza essere più riposta, come per il passato, nel loculo sopra l’altare, posizione che ne impediva quasi completamente la visibilità.
Questa soluzione rappresenta un importante passo avanti sia per la parrocchia che per Cremona tutta che infatti ha nella tavola di S. Agata una delle opere di più alto interesse artistico e culturale che la pittura settentrionale possa offrire: un giudizio sul quale hanno concordato, con Roberto Longhi, diversi critici.
Veramente il valore di questa curiosa tavola che si dice comunemente “sacra” non tanto per i soggetti che la illustrano quanto per la tradizionale convinzione che essa sia un reliquiario, non era mai emerso prima del 1925. Se n’era parlato invece, e sempre da tempi immemorabili, dal punto di vista devozionale, come scrive Antonio Campi: “Quella Tavola con somma veneratione si porta ne’ grandi incendii, contra i quali si è trovata sovente esser singolar rimedio: portasi anche questa tavola a tempi nostri processionalmente ogni anno intorno la Città alli 5 di febraro giorno solenne per la festa di Sant’Agata”.
Evidentemente il Campi non era neppure sfiorato dal sospetto che quel reliquiario fosse anche un cimelio artistico; e alla stessa maniera non ne furono sfiorati gli storici successivi e i compilatori di cose d’arte locali fino, appunto, a quel 1925 quando la tavola venne “scoperta”.
Di quest’avvenimento, Ugo Gualazzini, che ne fu il principale protagonista, ha raccontato negli anni scorsi le avventurose circostanze.
La tavola, come i cristalli che la proteggevano, era completamente annerita per il depositarsi secolare del fumo delle candele e ridotta in condizioni di totale illeggibilità: si spiegherebbe così come si sia potuto ignorarne il significato artistico per tanti secoli.
Fu soltanto l’operazione “abusiva” di aprire i cristalli che la racchiudevano, a rivelare la presenza dei dipinti sulla tavola di legno e ad avviare il prezioso cimelio verso la celebrità.
Ci volle un anno perchè il restauratore Mauro Pelliccioli riuscisse e a riportare in vita la tavola nella pienezza dei suoi valori.
Il legno, com’è noto, è dipinto su entrambe le facce: da una parte raffigura la Ma- donna con il Bambino e, al di sopra, in proporzioni assai più ridotte, la scena della Pentecoste.
Dall’altra parte racconta, distribuiti in quattro fasce, episodi della vita e del martirio di S. Agata: il bordo è costituito da un fregio che svolge sui quattro lati un motivo di piccoli archi continui, evidentemente ispirato agli archetti pensili tipici dell’architettura romanica.
“Il piacere del narrare non si esaurisce mai in questo pittore – scrive monsignor Franco Voltini – così caratterizzato, e tuttavia sconosciuto, che una vera misura di sé ha affidato probabilmente a questa sola opera; chi esso sia non sarà forse mai rivelato, ma che sia un settentrionale, veneto, emiliano o lombardo, è concordemente ammesso dalla critica, contro la leggenda che tentò di accreditare la provenienza della Tavola dalla Sicilia.
Un artista grandissimo, “da non scadere neppure di fronte ai maggiori toscani, direi forse da superarli – ha scritto il Longhi – […] nella considerazione del nostro Duecento, da collocare sul piano della qualità suprema”.
E Vittorio Sgarbi sostiene che in questa Tavola del “Maestro di Sant’Agata” sono concentrate le medesime ragioni di assoluta modernità che attribuiamo a un maestro come Giotto; crede inoltre che l’opera non abbia raggiunto la popolarità che merita, benché si tratti di una testimonianza di valore assoluto, risalente alle origini dell’arte italiana.
Giorgio Bonali
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