Cronaca

Cremonesi confinati a Ventotene
L'inedita vicenda di Maria Ravazzani

Valeria Leoni, direttrice Archivio di Stato, Cremona
Valeria Leoni, direttrice Archivio di Stato, Cremona
1 / 9

Una vicenda inedita dell’epoca del regime fascista, che riemerge dai fascicoli della questura nei quali venivano schedati i sovversivi tra la fine degli anni Venti e la caduta di Mussolini. A recuperare la figura di Maria Ravazzani, una delle poche donne finite a Ventotene e tra le pochissime che non ebbero sconti nella durata del confino, è lo storico Fabrizio Superti che sul tema terrà una conferenza il prossimo 16 aprile alle ore 16 in Archivio di Stato (via Antica Porta Tintoria, 2) nell’ambito delle iniziative organizzate dalla direttrice Valeria Leoni.

Il nome della donna compare nel fascicolo relativo al caso di Arturo Amigoni e Celeste Ausenda, fuggiti a Parigi nel 1936 dopo che il primo aveva già scontato tre anni di confino. Come già evidenziato da Giuseppe Azzoni nella sua ricerca di qualche anno fa sui sovversivi cremonesi, dalla capitale parigina i due avrebbero favorito, su suggerimento di fuoriusciti molto vicini a Carlo Rosselli, la nascita a Cremona di un nucleo di “Giustizia e Libertà”, tramite l’invio di un emissario e di numerose missive.

Il tentativo non ebbe esito: ne seguì un’ondata di arresti e tra questi, quello di Maria Ravazzani, amica dell’Ausenda, originaria di Saluzzo, che nel 1910 era arrivata a Cremona o meglio nel comune di Duemiglia dove lavorava come dattilografa. Il suo compito era quello di trasmettere i messaggi provenienti dalla Francia a potenziali soggetti antifascisti.

A questo punto la ricerca d’archivio si è dovuta necessariamente spostare da Cremona a Roma, dove è conservato il fascicolo relativo a Ravazzani. “E la cosa interessante – spiega Superti – è che nelle carte relative alla Ravazzani vi sono anche i verbali degli interrogatori di Amigoni ed Ausenda (arrestati a Parigi dopo l’invasione tedesca) che invece mancano nei loro rispettivi fascicoli conservati a Cremona. In questi interrogatori, i due cercano di sminuire il loro operato sostenendo la velleitarietà delle azioni dei fuoriusciti parigini”. Ciò non basta a far loro evitare l’arresto e i due finiscono a Ventotene, dove rimarrano per tre anni.

Diversa e peggiore la sorte toccata a Ravazzani: arrestata a Cremona nel 1937 insieme ad altre 14 persone, viene inviata a Roma e qui interrogata. Non confessa nulla e le viene pertanto inflitto il confino a Ventotene, da dove, dopo sei mesi, è trasferita nel ben più ostile territorio di Tursi, in Basilicata: “Non certo un passo migliorativo – afferma Superti – perchè le condizioni climatiche erano molto più pesanti dal punto di vista igienico sanitario e per la qualità dell’acqua che le causa problematiche gastrointestinali, come si desume dalle visite mediche”. Inutilmente negli anni successivi chiederà la grazia, anche facendo presente la storia famigliare nella quale compaiono due fratelli che dettero la vita per la patria, uno caduto nella guerra d’Etiopia, l’altro nella Prima Guerra Mondiale.

“E’ uno dei pochi casi in cui un confinato si è fatto tutti i cinque anni di pena”, aggiunge Superti. “Maria chiederà la grazia a tante personalità di spicco dell’epoca, ma nulla le viene concesso, anzi, il Prefetto di Cremona ebbe modo di scrivere che un suo eventuale ritorno a Cremona sarebbe stato di pessimo esempio per la città. Possiamo considerarla l’anello finora mancante della vicenda Amigoni – Ausenda, ma anche l’anello più debole, quello che pagherà più degli altri”. Più dello stesso Amigoni il cui operato ha sollevato parecchie perplessità tanto da ipotizzare un suo coinvolgimento nelle rete predisposta dall’Ovra, la potente polizia segreta agli ordini di Mussolini. gb

 

 

© Riproduzione riservata
Caricamento prossimi articoli in corso...