Pippo Ricci si racconta
e Cremona si emoziona

Un teatro gremito, tanti ragazzi, appassionati, giocatori della Vanoli e qualche volto che ha fatto la storia recente della palla a spicchi cremonese e italiana. Davanti a loro, Pippo Ricci ha raccontato il suo libro “Volevo essere Robin – Il mio viaggio fino a qui” (DeAgostini), con il sorriso di chi, per due anni, ha chiamato Cremona casa.
Organizzato dalla libreria Timpetill con il patrocinio del Comune di Cremona, l’incontro al Teatro Monteverdi ha riportato Ricci dove tutto è cominciato: “Quando ho scritto il libro, Cremona era uno dei posti in cui sognavo di poterlo presentare. Qui ho vissuto due anni fondamentali. Era previsto che giocassi in A2, poi il ripescaggio in Serie A ha cambiato tutto. È stato l’inizio della mia carriera nel massimo campionato”.
Con lui, sul palco, la giornalista Lucilla Granata e Francesca Alquati e l’affetto degli amici veri: coach Meo Sacchetti in collegamento a sorpresa (“le cose negative le ho cancellate”, scherza su un episodio di Venezia-Cremona), il preparatore atletico Jacopo Torresi, un altro ex della Vanoli, Peppe Poeta, con cui Pippo si è incrociato a Milano quando l’attuale allenatore di Brescia era assistant coach di Messina, l’allenatore Simone Lottici, tra i primi a credere in lui (“era il giocatore perfetto per la mia squadra: faceva tutto per gli altri”), e una sala piena di giovani e tifosi, ma anche di giocatori di oggi come Federico Zampini, Stefan Nikolic, Chris Burns, oltre a coach Gigi Brotto.
Pippo, che oggi è capitano dell’Olimpia Milano insieme a Shevon Shields, ha raccontato molto più di una carriera. Ha parlato di sé, di Gianpaolo prima ancora che di Ricci: del ragazzo che lasciò casa a 16 anni, del peso da perdere, degli autobus presi per andare a scuola, delle lacrime in silenzio in una stanza condivisa: “Scrivere il libro è stato come tornare da Giampaolo. L’ho fatto anche per i ragazzi che si sentono fuori posto, per chi pensa di non farcela. Si può diventare un supereroe anche facendo il lavoro sporco, anche restando Robin”.
È questo il cuore del libro, l’idea che non serve essere la star per essere fondamentali. Una visione che chi ha vissuto lo spogliatoio con lui conosce bene: “Ogni cosa che faceva per migliorarsi migliorava anche la squadra – ha ricordato Torresi – E quando non giocava bene, si faceva trovare utile in un’altra maniera: un rimbalzo, una difesa, un gesto per il gruppo”.
Dall’esordio con Lottici a Casalpusterlengo alla Coppa Italia vinta con la Vanoli. Dall’incontro con Sacchetti alla nazionale. Fino all’impegno in Africa con l’associazione Amani Education fondata insieme alla famiglia, per costruire scuole dove c’è ancora tutto da inventare.
“Il libro lo leggo domenica – scherza Sacchetti in collegamento video -, ma se hai scritto cose vere… va bene”. È lui che lo volle a Cremona. È lui che lo fece debuttare in nazionale, ma che la prima volta lo bocciò rimandandolo a casa insieme a suo figlio Brian: “Mia moglie ancora non me lo perdona”.
Cremona, Ricci non l’ha dimenticata. “È stata la mia rampa di lancio. Vincemmo la Coppa Italia. Fui premiato come miglior italiano: la prima volta che vinsi qualcosa da solo. Ero imbarazzato, perché non ero abituato”. In realtà, era già diventato molto più di un gregario. E forse proprio per questo oggi è una delle figure più rispettate del basket italiano.
Fuori dal campo, Pippo è lo stesso: determinato, coerente, sensibile. Lo dimostra anche l’associazione che porta avanti con la famiglia in Africa, dove costruiscono scuole e promuovono l’educazione: “Mi ha sempre colpito la felicità delle persone che ho incontrato in Africa. Questo libro è anche per loro. Per ricordare che chi ha fame di qualcosa, con dedizione e umiltà, può farcela davvero”.
Cristina Coppola