Diffamazione omofoba: ma gli sposi
sono alle prove di “Ecce (h)omo”

Sergio Sormani, 58 anni, e Giorgio Donders, 53, lui cremonese da parte di madre, sposi nel settembre del 2018 con la proposta di matrimonio immortalata con un filmato tra le poltrone del “Teatro Ariston” durante il Festival di Sanremo, sono una coppia di artisti, cabarettisti, prestigiatori e attori. E sono parti civili a Cremona in un processo contro un cremonese di 73 anni, che è a giudizio per diffamazione aggravata a causa di un commento omofobo apparso il 18 ottobre del 2018 sotto il post del racconto della loro unione civile.
Sormani e Donders avrebbero dovuto essere sentiti oggi in aula, ma non si sono presentati. Come hanno fatto sapere nella giustificazione, si trovano a Roma per le prove del loro spettacolo “Ecce (h)omo”, nel quale parlano della loro storia, affrontando temi universali come la diversità, i pregiudizi e il bullismo.

Dunque, assenza per “impegni di lavoro”. Una giustificazione “non adeguata”, secondo il difensore dell’imputato, l’avvocato Stefania Giribaldi, che ha chiesto la decadenza della parte civile. Il giudice ha respinto la richiesta, ma ha comunque ritenuto “non del tutto giustificata” l’assenza della coppia. Per il magistrato, comunque, non c’è ragione di ritenere che i due non compariranno la prossima udienza, fissata per il 5 novembre. Se invece non si presenteranno, sarà loro inflitta una sanzione pecuniaria. Nell’aprile del 2026, tra l’altro, il reato sarà prescritto.
Il loro legale Luca Castelli aveva già chiesto un risarcimento danni di 30.000 euro.
Nell’atto di costituzione di parte civile, Sormani e Donders avevano sottolineato che mai c’è stata l’intenzione di “ledere il legittimo diritto di critica e di espressione, purchè le espressioni proposte siano educate e non lesive della dignità delle persone”. Invece “i toni violenti usati dall’imputato sono e appaiono gravi per le parole usate e soprattutto sono aggravati dai futili motivi tipici dell’omofobia e nella mancata accettazione dell’altrui identità”.
“Non si può sminuire il fatto”, si legge nell’atto della parte civile, “considerando l’imputato un semplice hater, perchè lo stesso è un vero e proprio aggressore che si nasconde dietro lo schermo di un pc. Si tratta di insulti pensati che ledono non solo i due querelanti, ma anche l’intera comunità LGBT, con conseguenze non irrilevanti nei confronti dell’attività anche sociale svolta dalla coppia sotto la didascalia ‘Vivere da veri‘, che si propone di fornire un aiuto a tutte le persone che vivono la propria omosessualità come un problema da superare. L’impatto che dette parole hanno, non possono essere sottovalutate e meritano una sanzione sotto il profilo penale, con un risarcimento che tenga conto non solo della gravità in sè delle parole, ma anche l’impatto che le stesse possono avere su persone fragili che vedono nell’imputato un portatore d’odio“.
Sara Pizzorni