Cronaca

"Mia figlia schiavizzata":
suoceri e cognato a processo

Un'intera famiglia accusata di maltrattamenti. Il marito della vittima è stato già condannato a sei anni anche per violenza sessuale

Un’intera famiglia è finita a processo per aver maltrattato una giovane egiziana che si è costituita parte civile attraverso l’avvocato Antonella Viola. Gli imputati, che sono i suoceri e il cognato, sono invece assistiti dall’avvocato Mario Tacchinardi. Il marito della vittima, già processato con il rito abbreviato, è stato condannato a sei anni per violenza sessuale e maltrattamenti e ad un risarcimento di 15.000 euro.

Oggi hanno testimoniato i genitori della ragazza, che hanno confermato le accuse mosse dalla figlia nei confronti dei familiari del marito. “Mi trattavano come una schiava, con botte, obblighi, umiliazioni e offese”, aveva raccontato lo scorso gennaio la giovane, oggi 23enne, in una lunga deposizione nascosta dieto un paravento per non incrociare gli sguardi degli imputati.

La giovane si era sposata a 18 anni con il connazionale che su di lei aveva usato violenza la prima notte di nozze. La ragazza aveva raccontato di aver espresso al marito le sue paure sul primo rapporto sessuale e di voler aspettare, ma lui l’aveva presa per mano, condotta in camera da letto e con la forza spogliata e fatta sdraiare. “Io piangevo”, aveva raccontato la vittima, che dopo il rapporto violento era stata costretta ad andare in ospedale per farsi suturare.

Prima del matrimonio lui le aveva fatto tante promesse, tra cui quella che lei avrebbe potuto andare avanti a studiare. E invece tutto era cambiato. All’inizio i due neosposi erano andati a vivere da soli, ma lei era costretta a recarsi a casa dei suoceri per fare le pulizie e cucinare, altrimenti il marito la picchiava.

Nel 2020 i due si erano trasferiti nella casa dei genitori di lui, dove vivevano anche il fratello e la moglie, e lì era iniziato l’incubo: “ero costretta a fare i lavori di casa anche se stavo male”, aveva riferito la 23enne al giudice, “non ho più potuto andare avanti a studiare, mi è stato tolto il telefono e me ne hanno dato uno senza internet e con una nuova scheda. Quando chiamavo i miei genitori, mio marito era sempre presente e doveva sentire ciò che dicevamo”.

“Mia figlia, in quell’appartamento sporco, fatiscente e senza riscaldamento“, ha raccontato oggi il padre della ragazza, “doveva stare tutta la giornata a fare la schiava, anche quando aspettava un bambino. Un giorno è stata malissimo. Quella non era vita. L’hanno anche minacciata e non la lasciavano libera di fare nulla, nemmeno di telefonarci. Dal marito ha preso dei calci sulla pancia quando era incinta e i suoceri si intromettevano sempre, obbligandola a fare tutto in casa”.

L’avvocato Viola

E poi c’erano le botte. Tante: sia dal marito che dal suocero, che quando lei voleva andare a trovare la sua famiglia aveva preso una cintura e l’aveva picchiata, così come aveva fatto anche il marito. In un’altra occasione, quando lei aveva chiesto soldi al suocero, lui l’aveva spinta dalle scale. “Non ho mai saputo che busta paga avesse mio marito”, aveva raccontato la donna. “So che lui consegnava i soldi al padre. Le donne di casa non dovevano entrare nella vita personale della famiglia. Di certo loro nella nostra vita erano sempre presenti. Facevano così anche con mia cognata, ma lei era remissiva, accettava le imposizioni”.

Tre mesi dopo il matrimonio la ragazza era rimasta incinta, ma nel marzo del 2020 aveva perso il bambino. “Ero comunque obbligata a fare i lavori di casa, anche se non stavo bene”, aveva raccontato la ragazza. “Per loro”, riferendosi in modo particolare ai suoceri, “il bambino non era importante. Mi dicevano, ‘meglio che muoia’, e che se non andavo avanti a fare le pulizie non ci avrebbero più dato i soldi per vivere”. “Non stavo bene e non mi permettevano di andare in ospedale“, aveva detto ancora la 23enne. Quando era riuscita ad andarci, era ormai troppo tardi. “Il bambino era morto da due settimane“.

L’avvocato Tacchinardi

In seguito la ragazza era tornata a vivere a casa dei suoi genitori, ma suo marito l’aveva poi convinta a tornare dai suoi, assicurandole che le cose sarebbero cambiate. Non era stato così. Nel frattempo la giovane era riuscita ad avere un altro figlio. “Aveva quattro mesi e picchiavano anche lui per fare male a me”, aveva detto la 23enne, che aveva raccontato di quella volta che il suocero l’aveva chiusa a chiave per tre ore in una stanza e le aveva preso il bambino. Era successo nell’agosto del 2021, qualche settimana prima che lei uscisse definitivamente da quella casa. Spariti anche gli 800 euro che i genitori di lei le avevano dato e che lei aveva custodito in un salvadanaio.

Mi hanno cacciata”, aveva raccontato la giovane egiziana, che ancora una volta era tornata a vivere dai suoi. “Mio marito non si è mai interessato a nostro figlio, ma aveva mandato gente della moschea per farmi tornare a casa”. Poi la denuncia, le indagini e l’iter giudiziario che si è concluso con la condanna dell’uomo, che solo in Egitto ha avviato le pratiche di separazione. Ora a processo c’è la famiglia di lui.

Oggi in aula ha testimoniato anche una psicologa del centro antiviolenza, che dal gennaio del 2020 aveva fatto con la vittima dieci colloqui. La testimone ha riportato quanto le era stato raccontato dalla ragazza. “Mi ha riferito delle botte, degli spintoni, dei calci, di essere stata colpita con una cintura e di essere stata presa per i capelli dalla suocera. Tutti i suoi movimenti dovevano ottenere il nulla osta della famiglia”.

Attualmente la 23enne vive in un’altra provincia e si è rifatta una famiglia.

In tribunale si tornerà il prossimo 26 maggio per l’esame degli imputati e per sentire quattro testimoni della difesa.

Sara Pizzorni

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