Cronaca

Marco Melega e il socio Visigalli
ancora a processo. Truffa all'Inps

In aula accusa e difesa battibeccano. E Visigalli va in carcere tre anni dopo la sentenza definitiva

Marco Melega

Oggi avrebbe dovuto essere il giorno della sentenza per l’imprenditore cremonese Marco Melega, 52 anni, e per il suo “braccio destro” Cristiano Visigalli, entrambi accusati di truffa, ma l’assenza dell’ultimo testimone ha fatto nascere un battibecco tra accusa e difesa e alla fine convinto il giudice a rinviare l’udienza. Il pm onorario ha infatti insistito per citare nuovamente il testimone,  un finanziere che la volta precedente era assente giustificato, mentre questa volta non si è presentato per la notifica non andata a buon fine.

L’avvocato Luca Angeleri

Un testimone “inutile”, per le difese, rappresentate dagli avvocati Luca Angeleri (per Melega) e Massimo Nicoli (per Visigalli), che invece oggi hanno chiesto di poter concludere e andare a sentenza senza dover sentire il testimone. La scorsa udienza era stato sentito un luogotenente della finanza che aveva seguito l’indagine. Per i difensori, le dichiarazioni del collega ancora da sentire, il comandante che aveva firmato la notizia di reato, non avrebbero aggiunto nulla di più a quanto già emerso in aula. Il giudice ha deciso diversamente. Il testimone dovrà essere ricitato e presentarsi a processo il prossimo 24 gennaio.

Il 23 novembre dell’anno scorso, dopo un processo di 27 udienze, Melega era stato condannato a 10 anni, 5 mesi e 15 giorni di reclusione per frode fiscale, riciclaggio e due episodi di bancarotta, e per decine di episodi di truffe online: storia di merce pubblicizzata su sottocosto-online e marashopping attraverso campagne su tv e radio nazionali. Merce a prezzi vantaggiosi, pagata, ma mai arrivata né rimborsata.

Per l’inchiesta principale, invece, Cristiano Visigalli, nel luglio del 2021 aveva patteggiato in udienza preliminare 4 anni e sei mesi. Sentenza diventata definitiva nel settembre di quello stesso anno. In carcere per scontare la condanna, però, ci è finito solo a luglio di quest’anno, tre anni dopo la sentenza definitiva. Mentre era al lavoro (lavorava come cuoco), lo sono andati a prendere e portato a Cà del Ferro.

Per Melega la data dell’Appello deve ancora essere fissata, ma intanto l’imprenditore ha dovuto far fronte a numerosi altri procedimenti per reati fiscali sia a Cremona che a Milano, incassando assoluzioni anche in udienza preliminare.

Questa volta, per l’accusa, Melega avrebbe licenziato Visigalli dalla “Consulting srl”, società che offriva a clienti importanti servizi pubblicitari in cambio di merce, società che era in via di fallimento, per riassumerlo dopo tre mesi nella società “Mito” per la durata di 20 giorni, continuando a percepire lo stipendio di “Consulting”.

L’avvocato Massimo Nicoli

Per la guardia di finanza, il contratto e l’assunzione alla “Mito” sarebbero stati fittizi. Tutto, secondo quanto testimoniato in aula la volta scorsa dal luogotenente che aveva partecipato alle indagini, per fargli ottenere la Naspi, l’indennità mensile di disoccupazione come sostegno al reddito per i lavoratori che avevano un rapporto di lavoro subordinato e hanno perso involontariamente la propria occupazione. Dall’aprile del 2019 al giugno del 2020 Visigalli avrebbe quindi ottenuto, compresi alcuni benefit, la cifra di 14.691 euro.

Quelle degli inquirenti, per la difesa, sarebbero solo “congetture senza essere supportate da prove”. “Siccome i nostri clienti sono ritenuti dei cattivi per via della condanna principale, si sono fatte supposizioni senza riscontri”. “Dove sono”, si chiedono gli avvocati, “gli artifizi e i raggiri?. Come fate a dire che il contratto di lavoro alla Mito è fittizio? E’ stato verificato che Visigalli lavorasse effettivamente per quella società?. Chi aveva aperto il conto in banca?, chi aveva rapporti con la Camera di Commercio?. A Melega è contestato il fatto di essere stato il rappresentante della Consulting e della Mito, ma dove sono le prove?”.

Lo scorso 14 giugno i due difensori avevano già chiesto al giudice di prosciogliere i due imputati ancor prima della chiusura del dibattimento, ma il pm si era opposto, chiedendo di poter sentire l’altro finanziere che aveva seguito l’inchiesta. “Ha solo firmato la notizia di reato”, hanno contrattaccato i difensori, “non ha fatto nulla di più del collega. Lo stesso luogotenente lo ha detto in aula”. Per il giudice, deve essere sentito. Rinvio a gennaio.

Sara Pizzorni

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