Cultura

Caos, saccheggi e almeno 25 morti
all'indomani dell'8 settembre

La ricostruzione dei fatti che seguirono la firma dell'armistizio a Cremona nell'ultima ricerca di Fabrizio Superti

L’otto settembre del 1943 rappresenta uno degli snodi più rilevanti e drammatici della storia italiana del Novecento; l’annuncio dell’armistizio, con conseguente allontanamento del Re dalla capitale, comportava il venir meno della catena di comando che faceva scivolare il Paese in una grave crisi istituzionale e militare senza precedenti. L’assenza di chiare disposizioni provocava il collasso dell’organigramma dello Stato.
Questa situazione di incertezza finiva per favorire il compito agli ormai ex alleati germanici che, attuando un piano di invasione predisposto da tempo, si accingevano ad occupare con la capacità bellica di cui disponevano tutto il territorio italiano non ancora liberato dagli Alleati.
Anche a Cremona ovviamente le mosse delle truppe tedesche puntavano a debellare ogni eventuale resistenza opposta dai contingenti militari italiani dislocati nelle varie caserme cittadine.

MLITARI E CIVILI VITTIME DEGLI SCONTRI – Le conseguenze degli scontri occorsi nella giornata del nove settembre fra le truppe tedesche e i reparti italiani producevano una scia di sangue nonché segni tangibili presso numerosi edifici della città; la conta dei morti, non sempre facile, arrivava ad una cifra minima di venticinque caduti fra membri dell’esercito e civili. Questi ultimi si erano trovati, per loro sfortuna, lungo le traiettorie di sparo fra i due schieramenti e ne avevano subito le peggiori conseguenze; Severino Mora, ad esempio, era rimasto colpito a morte da schegge di proiettile mentre si recava a recuperare il figlio dimesso dall’ospedale in via Trento e Trieste.
Il Commissario prefettizio richiedeva di svolgere accertamenti anche in merito alle modalità del decesso del fabbro ferraio Palmiro Malanca che risiedeva in via Buoso da Dovara. Nelle fila dei militari si segnalavano, fra gli altri, cinque avieri caduti presso la caserma di via Brescia dove i tedeschi avevano piazzato mitragliatrici pesanti e mezzi blindati con cui operavano un continuo tiro all’indirizzo dei soldati alloggiati nell’edificio di recente costruzione che, dal febbraio del ’43, ospitava i militi della Scuola Militare di Milano sfollati per ragioni di sicurezza.
L’intensità del conflitto risultava assai aspra tanto che il riconoscimento dei corpi era reso difficile, viste le condizioni in cui erano stati rinvenuti.
Nel conflitto a fuoco trovava la morte anche il tenente Palmieri a cui, in maniera improvvida, venivano sottratti, già cadavere, effetti personali e una cospicua cifra di denaro che portava con sé. Nella zona del Mercato Boario perdevano invece la vita due bersaglieri le cui salme venivano poi momentaneamente traslate nelle chiese di S. Michele e S. Abbondio.
Altre vittime si registravano in occasione degli accadimenti verificatisi nei pressi delle caserme di via Bissolati (Artiglieria) e di via Palestro (Bersaglieri); fra le fila tedesche si contavano due caduti, Otto Kranz e Heinz Trelle, sepolti all’interno del giardino di Piazza Roma ed altri quattro tumulati nel giardino della scuola del Migliaro.

La sera del nove le truppe tedesche già presidiavano tutte le posizioni strategiche per poter controllare l’intera città; un clima plumbeo e di timore gravava sulla cittadinanza attonita di fronte a episodi bellici mai sperimentati ed accentuati dall’avvio del coprifuoco che limitava gli spostamenti al di fuori delle fasce orarie indicate. Dopo la resa iniziava, per diversi contingenti di militari, la difficile parentesi dell’internamento in Germania. La repentina capitolazione delle forze italiane, oltre all’assenza di ordini dai vertici militari, comportava una sorta di collasso generale che svuotava le caserme dei soldati che cercavano di raggiungere i luoghi d’origine. Le truppe germaniche nel frattempo si erano premunite di esercitare un diretto controllo sulle caserme di via Brescia, di via Massarotti, di via Colletta nonché della caserma Manfredini (sede del 3° Regg. d’Artiglieria) e della sede del Comando provinciale dei carabinieri in via Trento e Trieste; verso la caserma di S. Lucia i tedeschi operavano una sorveglianza ancor più serrata stante la diffidenza verso un Corpo che si era reso colpevole, ai loro occhi, dell’arresto di Mussolini.

Le altre caserme che componevano il sistema di alloggiamento dei militari rimanevano invece chiuse ma senza un reale controllo; in quel delicato frangente storico alle macerie materiali si assommavano ancor più quelle morali. Nel vuoto di potere venutosi a creare in quelle ore si insinuava una turba di assalitori che penetravano nelle diverse caserme incustodite facendo razzia di ogni genere di beni.

Il Magazzino Viveri in via dei Mille risultava una delle postazioni più colpite, come, seppure in minor misura, la caserma Eugenio di Savoia di via Ettore Sacchi, già sede del 17° Regg. Fanteria, dove la grata di accesso alle cantine risultava manomessa e quindi di libero accesso.

Alla caserma di via Brescia al “prelievo improprio” partecipavano persino alcuni anziani ricoverati presso il vicino Ospizio della città; era la stessa direzione dell’Istituto a precisare in una nota inviata al Commissario prefettizio che …”il giorno nove i vecchi ricoverati negli Ospizi Riuniti hanno raccolto alla Scuola Militare di Milano indumenti ed altro materiale della scuola stessa. Sono stati subito ritirati ed inventariati dalla Direttrice Economa che li tiene a disposizione in attesa di ordini. Trattandosi di un povero Istituto di beneficenza si domanda se potesse usarli.” Il documento redatto dalla Direzione degli Ospizi evidenziava il corretto ripristino della legalità infranta ma anche della eventuale possibilità di poter disporre di materiale a vantaggio di ospiti alquanto indigenti.

Gli episodi di saccheggio non si limitavano però solo all’indirizzo di strutture pubbliche; l’assenza di vigilanza da parte delle istituzioni solitamente preposte a questo incarico comportava il diffondersi di azioni illegali con prelievi presso proprietà private. In tal senso si può ricordare, ad esempio, la completa asportazione del materiale stoccato nei caseifici collocati nella piccola località di Solarolo del Persico. Le reiterate lamentele avanzate dai proprietari all’indirizzo delle autorità locali non potevano trovare alcun riscontro, cosiderata l’assoluta impotenza ad intervenire.
Un esempio di quanto avvenne in varie località del Paese in quei drammatici momenti lo attingiamo dal prezioso diario di guerra stilato dal cremonese Giuseppe Ferrari e pubblicato, con merito, postumo dai figli; l’avventura militare del Ferrari, internato poi a Danzica fino alla fine del conflitto, segnava una tappa cruenta proprio nel riannodare quanto avvenuto nei giorni successivi all’armistizio. Dislocato a Venezia veniva colto dal precipitare degli eventi e poteva constatare, con profonda amarezza, lo sfacelo che si stava producendo.
Al ritorno presso l’Arsenale, dove si trovava alloggiato, si imbatteva in una situazione che lo lasciava attonito ed incredulo; un luogo ritenuto inviolabile risultava “offeso” dall’oltraggio portato da una folla che, senza incontrare ostacoli, era penetrata negli ambienti facendone scempio e saccheggio.
“Quando arrivai al deposito di S. Daniele – annotava il Ferrari – pochi marinai e sottoufficiali si aggiravano per la caserma i cui cortili, camerate, corridoi erano seminati di zaini, valigie vuote o squarciate, centinaia di capi di corredo e scarpe vecchie, rotte, sdrucite, cianfrusaglie giacevano alla rinfusa da per tutto, le dispense sotto sopra, come le cucine svuotate di tutto, un vero quadro desolante di disfatta; sembrava fosse passata una marea distruggitrice”.

IL MERCATO NERO – Le azioni di predazione trovavano parziale giustificazione nella stagione avviata con le restrizioni economiche imposte dal regime di guerra; tali provvedimenti avevano ridotto di molto la disponibilità di generi alimentari a disposizione delle famiglie. Una penuria di materiali che aveva creato parecchia insofferenza fra la popolazione e aveva incoraggiato lo sviluppo di un florido e assai remunerativo mercato
nero. Le merci veicolate attraverso i canali illegali consentivano introiti almeno tre o quattro volte superiori ai guadagni derivanti dal commercio ufficiale. Nonostante i tentativi di contrasto il “mercato nero” progrediva in maniera esponenziale tanto negli ultimi anni del conflitto quanto anche nell’immediato dopoguerra garantendo il consolidarsi di ottime posizioni economiche.

LA CONTA DEI DANNI – Trascorsa la lunga notte del nove settembre le autorità locali con non poche difficoltà iniziavano a riordinare la situazione. Giuseppe Ristagno assumeva l’incarico di commissario prefettizio sostituendo il prefetto in carica, Mario Trinchero, rimosso in quanto ritenuto filo-badogliano e quindi non in sintonia con il nuovo corso politico che si andava costituendo. Tra i suoi primi provvedimenti impartiva disposizioni affinché fossero con estrema rapidità rimosse le macerie che giacevano in diversi luoghi della città. Detriti, vetri infranti dalle esplosioni andavano recuperati in fretta per consentire un ritorno ad una parziale normalità; diverse arterie stradali risultavano non percorribili a causa
delle voragini prodotte dalle granate e dai colpi di artiglieria pesante impiegati nella giornata precedente.
In aggiunta veniva redatto un primo e provvisorio elenco dei danni subiti da edifici pubblici e privati; il comandante dei vigili urbani, Talamazzi, stilava un prospetto in cui erano individuati 47 luoghi dove risultavano significativi i danni prodotti dagli scontri fra le truppe avverse. Le vie maggiormente interessate si collocavano ovviamente nelle zone dove si erano consumate le incursioni belliche più rilevanti; la via Bissolati portava i segni marcati del conflitto tanto presso le diverse caserme presenti quanto negli squarci prodotti ai danni di numerosi edifici privati. Danni in Corso Vittorio Emanuele, in via Milazzo, in via dei Tribunali, presso la scuola Plasio, in via Colletta, in Piazza Marconi e in altre realtà del centro cittadino; la caserma Paolini, sita in via Palestro, presentava persino il crollo di una parte del tetto a causa di un incendio prodottosi in seguito ai combattimenti fra le parti. Fra i vari edifici comunali o governativi spiccava, inoltre, la stima dei danni subiti dalle strutture del Teatro Ponchielli.
L’interazione fra il Commissario prefettizio e le autorità comunali si infittiva e vedeva nel corpo dei vigili urbani una componente essenziale nella gestione e nel controllo dell’ordine pubblico in città. Nei pressi di ogni caserma, tranne quelle controllate direttamente dai tedeschi, veniva posto un vigile a garantire l’incolumità dei luoghi dai intrusioni indesiderate; il loro incarico risultava alquanto delicato in quanto era necessario controllare spesso edifici su perimetri diversi e impossibilitati ad esser chiusi a chiave in quanto i tedeschi ne potevano avere accesso in ogni momento.

LE CONTROMISURE DEGLI EX ALLEATI TEDESCHI – I tedeschi intanto predisponevano i piani per una piena occupazione della città; il primo comando in via Carso in attesa di provvedere alla presa in carico del centrale Palazzo Trecchi nonché della scuola Galeazzo Ciano (Bissolati) da adibire ad ospedale militare. La necessità di disporre di un ampio spazio alle porte della città trovava riscontro nella parziale requisizione dell’ampio cascinale di S. Maria del Campo lungo la via Giuseppina. La città era ormai normalizzata e pronta al ritorno dalla Germania del ras di Cremona Roberto Farinacci.

Fabrizio Superti

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