Il disastro di Pioltello: chieste
sei condanne e tre assoluzioni
Le pene più alte, otto anni e quattro mesi, sono state chieste per Maurizio Gentile, ex ad di Rete ferroviaria italiana, e per l’ex direttore della Produzione di Rfi, Umberto Lebruto
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Otto anni e quattro mesi per Maurizio Gentile, ex ad di Rete ferroviaria italiana. Stessa pena per l’ex direttore della Produzione di Rfi, Umberto Lebruto. Sono le richieste più alte dei pm milanesi Leonardo Lesti e Maura Ripamonti che al termine di una lunghissima requisitoria hanno chiesto sei condanne e tre assoluzioni per i nove imputati del processo sul disastro ferroviario di Pioltello, tutti dirigenti, dipendenti e tecnici di Rete ferroviaria italiana. Per Vincenzo Macello è stata proposta una pena a 7 anni e 10 mesi, per Andrea Guerini 6 anni e 10 mesi e per Marco Albanesi 6 anni e 10 mesi, più la richiesta di condanna di Rfi a 900mila euro di sanzione pecuniaria. Chiesta invece l’assoluzione per Moreno Bucciantini e per Ivo Rebai “perché il fatto non sussiste”, e per Marco Gallini “per non aver commesso il fatto”.
Per tutti gli imputati è stata chiesta la concessione delle attenuanti generiche “perché c’è stato un risarcimento danni per le persone offese, in particolare per i familiari delle tre donne rimaste uccise e per molti feriti”.
Per il disastro ha già patteggiato a 4 anni Ernesto Salvatore, allora responsabile del Nucleo Manutentivo Lavori di Treviglio di Rfi. Al centro del procedimento le accuse di disastro ferroviario colposo, omicidio colposo, lesioni colpose e solo per alcuni “rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro”.
Il 25 gennaio 2018, in seguito al deragliamento del regionale Cremona-Milano Porta Garibaldi, morirono tre persone: Ida Milesi, 61enne di Caravaggio, dirigente medico e chirurgo all’Istituto “Carlo Besta” di Milano, Alessandra Giuseppina Pirri, 39 anni, impiegata di Capralba, e Pierangela Tadini, 51 anni, anche lei, come Ida, di Caravaggio. Oltre 200 i feriti.
Di “vicenda grave” hanno parlato i pm, “con tre persone morte e oltre 200 rimaste ferite e con problemi psicologici, un quadro di ricostruzione complesso che coinvolge i vertici e una della maggiori aziende italiane, monopolista delle infrastrutture ferroviarie”. Per l’accusa, come riporta l’Ansa, disporre un rallentamento su quel tratto “era l’unica cosa che, esclusa la sostituzione del giunto, avrebbe potuto prevenire con certezza l’incidente”.
“Se un treno deraglia non a 140 chilometri all’ora, ma a 50”, hanno aggiunto i pm, “allora quasi sicuramente non muore nessuno”. In un altro passaggio della lunga requisitoria, iniziata alla scorsa udienza, è poi stato sottolineato che “non potendo sostituire tutti i giunti, si finisce per accettare il rischio che qualche giunto si rompa. O si interviene tempestivamente in continuazione oppure ogni tanto qualcosa si rompe. Intervenire ogni tanto costa meno”.
Il deragliamento, stando alle indagini, avvenne infatti a causa della rottura di uno spezzone di rotaia di 23 centimetri nel cosiddetto “punto zero” sopra un giunto in pessime condizioni. Per la Procura quello di Pioltello fu un incidente causato da una lunga serie di “omissioni” nella “manutenzione” e nella “sicurezza”, messe in atto solo per risparmiare.
Per i pm, Umberto Lebruto e Vincenzo Macello non hanno evitato il disastro ferroviario di Pioltello. “Per l’ennesima volta si pretendono condanne per ruoli apicali”. L’avvocato Ambra Giovene, difensore dei due imputati, ha commentato così in una nota la requisitoria dei pm “Il reato è diventato una colpa per talune categorie sociali. Una deriva ignota al mondo civile occidentale. Il processo ha dimostrato che ogni scelta è stata compiuta nel rispetto di un sistema complesso, correttamente regolato, certificato e organizzato. Ma osservare la legge non basta. Il sospetto è diventato regola di giudizio e la responsabilità da posizione pare tranquillizzare gli animi. È l’unico modo per non rendere giustizia né agli imputati né alle vittime. Le richieste di condanna non hanno alcun fondamento probatorio e si fondano su un pregiudizio che non dovrebbe mai trovare ingresso in un’aula di tribunale”.
Il 24 settembre si torna in aula con gli interventi degli avvocati di parte civile e dei primi difensori.
Sara Pizzorni