Cronaca

"Troppo emancipata", giù botte
Mamma violenta condannata

Vessazioni sulla figlia “troppo emancipata” che non seguiva le regole dettate dalle tradizioni culturali della  propria famiglia, in particolare della madre, una donna “violenta”, come l’ha definita il pm Francesco Messina, “che la obbligava a svolgere le faccende domestiche, che non voleva che studiasse, che perdesse tempo fuori con gli amici, soprattutto maschi, e che voleva  sposasse un uomo scelto da lei e dal marito. Doveva essere una brava moglie“.

Con l’accusa di maltrattamenti, una 48enne indiana, madre di tre figli, due maschi e la femmina, sulla quale l’imputata aveva commesso le violenze più pesanti, è stata condannata dal collegio dei giudici ad una pena di 3 anni e 6 mesi di reclusione, 4 mesi in più di quanto chiesto dall’accusa. Oggi la ragazza è maggiorenne, studia all’università e vive in una casa protetta in un’altra città. A processo era parte civile. Sua madre dovrà risarcirla con una somma di 12.000 euro.

Una famiglia all’antica, quella della ragazza, famiglia dedita alle tradizioni culturali del proprio paese, da anni residente nel cremonese ma che faceva fatica ad integrarsi, con la figlia che si ribellava alle imposizioni.

“Pulivo, preparavo la cena per tutta la famiglia e studiavo la notte”, aveva detto in aula la giovane nella sua testimonianza non solo contro la madre, ma anche contro il padre, anche lui a processo per maltrattamenti in famiglia (i due procedimenti sono separati). Dai genitori, la ragazza sarebbe stata maltrattata per dieci anni, dal 2010 al 2020.

La mamma la picchiava abitualmente colpendola con violenza con il mattarello e con un bastone. In varie occasioni le aveva afferrato i capelli, schiaffeggiata, le aveva lanciato contro il viso una chiave inglese, colpita con un bicchiere di vetro, ustionata a un braccio con un mestolo incandescente. L’imputata le impediva di uscire con le amiche, di partecipare ad attività extra scolastiche, obbligandola durante il giorno a svolgere lavori domestici. E niente amicizie maschili.

“In casa non era libera”, aveva raccontato una sua compagna del liceo. “Non poteva usare il cellulare, doveva fare i lavori di casa e quindi era costretta a studiare la notte. A scuola era molto brava. I genitori la picchiavano, non volevano che continuasse a studiare. Volevano farla sposare in India. Un giorno a scuola le ho visto una bruciatura sul braccio”.

L’imputata era difesa dall’avvocato Mario Tacchinardi, che aveva chiesto l’assoluzione o la riqualificazione del reato in abuso dei mezzi di correzione. Da parte dei genitori, secondo il legale, non ci sarebbe stata alcuna volontà di umiliare la figlia, né di perseguitarla, ma piuttosto di educarla“. “Sono condotte che a noi fanno accapponare la pelle”, ha ammesso il difensore, “ma non c’è la prova di un intento persecutorio. Semplicemente la figlia doveva crescere come una brava moglie. In questa storia c’è l’ombra pesantissima delle tradizioni culturali del paese di origine. Una famiglia poco integrata, se si pensa che l’imputata, in Italia da anni, non parla ancora una parola di italiano”.

“La vittima”, ha detto il pm nella sua requisitoria, “è stata molto convincente, il suo racconto dettagliato, lineare e confermato dai testimoni. Un quadro probatorio molto solido“. La motivazione della sentenza sarà depositata entro 90 giorni.

Il procedimento contro il padre è invece aggiornato al 19 novembre con l’esame di altri testimoni dell’accusa.

Sara Pizzorni

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