"Dalla pandemia alla serie A"
presentato il libro di Piccoli
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In una sala gremita di tifosi, appassionati di basket, curiosi e qualche compagno di squadra dei due anni vissuti in Vanoli, Matteo Piccoli ha presentato il suo libro “Solo, io. Dalla pandemia alla serie A”, racconto autobiografico di quattro anni di vita dallo stop per il Covid-19 ai successi in biancoblù.
Accompagnato nel racconto da Damiano Bonvicini, responsabile comunicazione della squadra, Piccoli ha spiegato che cosa lo ha spinto a scrivere e come sia cresciuto come persona proprio inseguendo il suo io interiore. Oltre al giocatore di basket c’è di più, un ragazzo con valori e una famiglia, presente e fondamentale, in un percorso di crescita che lo ha portato a vivere lo sport con trasporto e passione.
Qualche aneddoto, il ricordo della nonna che gli ha spezzato per un attimo la voce, il saluto all’amica Sveva Gerevini, campionessa di pentathlon ed eptathlon, in piedi anche lei con il libro stretto in mano, le battute con Andrea Pecchia e Davide Denegri seduti in prima fila.
“Sono sempre stato convinto di non essere capace e, ancora adesso, penso di non essere capace a scrivere – spiega Piccoli – però è un processo, come quello della mia vita sportiva. Non ho un talento per quello, non sono nato per quello, ma con il lavoro e la costanza ci sono riuscito, anche scontrandomi con i vari problemi, anche banalissimi, visto che non ho fatto il classico e non ho fatto studi a riguardo all’università”.
Un libro che cambia attraverso le pagine come è cambiato l’autore, dall’Assigeco a Piacenza, passando per Rieti e poi San Severo, prima di approdare a Cremona “Essendo più una sorta di diario introspettivo, mi rappresenta molto e racconta una persona competente diversa nel tempo. Anche la mia scrittura è cambiata e anche decisamente migliorata. In questo c’è quel desiderio di migliorare ogni giorno che ho da quando ho cominciato a giocare a basket, che mi ha spinto a continuare. Quando andavo ad allenarmi a Varese, già sulle scale, che facevo a 200 all’ora, per arrivare al campo, avevo i brividi, li posso sentire ancora adesso, perché avevo voglia di migliorare ed è lo stesso che sento mentre scrivo, mentre capisco che sto buttato fuori le emozioni e mentre capisco che piano piano sto riuscendo a costruire quello che ho in testa”.
Nel libro anche ricordi belli e momenti difficili, dalla decisione di arrivare a Cremona, pur senza poter continuare ad essere capitano della squadra come a San Severo, ma riconoscendo in Andrea Pecchia il capitano perfetto, la conquista dell’Mvp nella Coppa Italia di A2, ma anche l’episodio più difficile a Rieti, sul quale non si risparmia ancora una volta in sincerità e correttezza.
Il racconto che emerge dalle pagine del libro e dal contatto diretto durante la presentazione è quello di un ragazzo di 29 anni che cerca di imparare il più possibile dalla vita, non solo dallo sport, e desidera trasmettere i propri valori: “Alla fine ci vuole coraggio, non solo di parlare con gli altri, ma anche di battere la noia, la pigrizia, la bellezza è conoscere. La fortuna incredibile che abbiamo è quella di conoscere le città nuove, persone nuove, usi e costumi… è bellissimo ma se non lo sfrutti è come se stessimo lavorando sempre nella stessa città, invece abbiamo una fortuna incredibile, che sento di dover sfruttare, un continuo scambio che ti può lasciare qualcosa. È una necessità, un’inquietudine, un desiderio di imparare più cose possibile e chi me lo può dare se non così tante vite che ho la fortuna di incrociare tutti i giorni? è bello parlare con le persone che mi lasciano tanto e questo è fondamentale. Se voi anche solo mi salutate o semplicemente mi lasciate un sorriso, quello per me è tantissimo perchè mi state gettando la vostra felicità e io la sto assorbendo e vi ringrazio per questo”. Applausi.
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Cristina Coppola