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Gaza, Ucraina, terrorismo: l’analisi dell’Intelligence italiana

(Adnkronos) – Dal conflitto a Gaza e i rischi in Medio Oriente passando per la guerra tra Russia e Ucraina, ma anche l’Africa, i Balcani, la minaccia della disinformazione, la cybersicurezza e l’Intelligenza Artificiale, il terrorismo, i migranti e la mafia. Questi i temi analizzati nella ‘Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza’, curata dal Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e relativa all’anno 2023 presentata oggi. 

“L’attacco del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas e della Jihad Islamica Palestinese contro il territorio israeliano ha rappresentato uno spartiacque nelle dinamiche politiche internazionali e del quadrante mediorientale. Localizzato nella Striscia di Gaza, il conflitto è infatti caratterizzato da elementi dalla portata regionale che, anche sull’onda della pronunciata valenza simbolica insita nella questione palestinese, hanno riattivato linee di faglia ad ampio raggio, spingendo diversi attori d’area a forme di reazione, con il rischio di innescare un conflitto di più ampia portata”, è quanto si sottolinea. 

“Inoltre, le ostilità hanno inciso in modo significativo anche sui processi di riallineamento geopolitico in corso, congelandone nei fatti lo sviluppo e provocando nell’intero mondo arabo-islamico sommovimenti e tensioni – prosegue – L’azione di Hamas, circa 1.100 morti e oltre 200 ostaggi tra civili e militari, ha inflitto una ferita profonda nel tessuto della società e nella sicurezza israeliana, inducendo il Governo di Tel Aviv a rispondere sul piano militare contro la Striscia di Gaza. L’ultima parte dell’anno è stata infatti segnata dalle operazioni militari delle Forze di Sicurezza Israeliane contro il territorio della Striscia di Gaza finalizzate a smantellare le capacità militari dei gruppi estremisti palestinesi e a liberare gli ostaggi. Tensioni crescenti si sono registrate anche in Cisgiordania, oggetto di diverse operazioni speciali condotte dalle Forze di Sicurezza Israeliane, anche in questo caso volte a disarticolare le articolazioni estremiste palestinesi”.  

Con crisi Gaza stop processi distensione e rischi per stabilità – “La crisi tra Israele e Gaza ha restituito priorità alla questione israelo-palestinese nelle agende politiche della comunità internazionale, marcando al contempo una linea di discontinuità nell’andamento delle dinamiche dell’intera regione del Medio Oriente. Sul piano strategico, sino ai fatti del 7 ottobre, il quadrante mediorientale era stato attraversato da importanti processi di riallineamento che avevano coinvolto diversi attori regionali. Emblematica nel senso la prosecuzione del rafforzamento dei processi di normalizzazione che vedevano al centro proprio Israele e parte della comunità dei Paesi arabi (Accordi di Abramo) e che, in prospettiva, avrebbero potuto coinvolgere anche l’Arabia Saudita, realtà di riferimento per il mondo arabo e musulmano”.  

“Analoghe politiche di riavvicinamento avevano coinvolto anche attori come Iran, Arabia Saudita, Siria, Turchia, indirizzando il quadrante verso una graduale riduzione delle tensioni – prosegue la relazione – Lo scoppio della crisi di Gaza ha provocato un arresto di tali processi di distensione, riportando il Medio Oriente nuovamente al centro di dinamiche di polarizzazione e conflittualità che ruotano intorno alla questione israelo-palestinese e che rischiano di far ulteriormente degenerare la stabilità del quadrante”.  

Rischio ricadute in Egitto e Cisgiordania – “Il riaccendersi delle ostilità ha comportato, e continuerà a causare, rilevanti ricadute di carattere securitario in tutta la regione alla luce dei numerosi attori locali coinvolti e dell’elevato rischio che la crisi possa allargarsi ad altri contesti. In prima linea, tra le realtà che rischiano di essere interessate dalle ricadute della crisi di Gaza, vi sono l’Egitto e la Giordania, Paesi tradizionalmente vicini alla causa palestinese e, per evidenti motivi di prossimità geografica, maggiormente esposti a potenziali destabilizzazioni in caso di ulteriore allargamento della crisi”.  

“Nell’ultima parte del 2023 – prosegue il report – si è altresì registrato un deciso innalzamento delle tensioni in contesti in cui la crisi di Gaza ha rappresentato un fattore di innesco per l’avvio di attività potenzialmente destabilizzanti condotte da attori locali riconducibili al cosiddetto ‘asse della resistenza’, un’alleanza informale che unisce sul piano strategico diverse realtà del quadrante, Iran, Hezbollah libanesi, Houthi yemeniti, milizie sciite in Iraq e Siria, gruppi sunniti palestinesi, in una connotazione anti-israeliana e anti-occidentale”. 

Alterazione di equilibri, attenzione al Libano – “Tema di stretta attenzione degli organismi intelligence è anche il rischio che il protrarsi della crisi di Gaza provochi un’alterazione degli equilibri settari e religiosi delle comunità mediorientali. Diversi contesti del Medio Oriente sono tradizionalmente caratterizzati da un’elevata eterogeneità delle componenti confessionali, la cui pacifica convivenza e il mantenimento del triplice equilibrio demografico, sociale e politico rappresentano elementi chiave per la stabilità generale del quadrante”.  

“I conflitti che negli anni hanno interessato Libano, Iraq, Siria e Yemen sono stati provocati anche dalla percepita alterazione degli equilibri tra le diverse comunità interne, con rivendicazioni settarie e religiose strumentalizzate in chiave politica e tramutate in confronto militare interno – prosegue la relazione – La crisi in atto a Gaza – oltre a essere percepita da una parte del mondo musulmano come un confronto tra ebraismo e comunità islamica – rischia di provocare, specie in Libano, conseguenze sul predetto triplice equilibrio”.  

“Un eventuale allargamento del conflitto nel Paese dei Cedri, con un ingaggio militare più ampio del gruppo arabo-sciita libanese Hezbollah, potrebbe infatti arrecare ulteriori e non sostenibili tensioni interne, provocando la reazione delle diverse componenti cristiane, druse e sunnite, peraltro già sotto pressione per la presenza nel Paese dei profughi siriani”, conclude. 

Aumento tensioni in Siria e Iraq – “Lo scoppio del conflitto di Gaza ha provocato un aumento delle tensioni anche in Siria e Iraq, specie per la presenza in questi contesti di gruppi che, partendo da rivendicazioni relative alla questione palestinese, conducono azioni offensive contro assetti statunitensi nell’area, nell’ottica di combattere la presenza occidentale in Medio Oriente”.  

“Tale situazione rileva sul piano securitario anche in ottica nazionale, considerando la presenza del contingente italiano in Iraq operativo sia all’interno della coalizione internazionale anti-Daesh sia nella Nato Mission in Iraq (missione di cui l’Italia ha avuto il Comando fino al mese di maggio)”, continua.  

Preoccupa attivismo Houthi – “Nell’ultima parte dell’anno, ha suscitato particolare preoccupazione il rinnovato attivismo della milizia sciita Houthi in Yemen che, a fronte di avviati colloqui di pace con Riyadh, ha condotto una serie di attività offensive sullo stretto di Bab el Mandeb”. 

“Gli Houthi hanno infatti attaccato e tentato di sequestrare navigli commerciali diretti in Mar Rosso rivendicando tali azioni come attività condotte contro gli interessi israeliani e occidentali in solidarietà con il popolo palestinese, obbligando così parte del flusso commerciale internazionale marittimo a modificare le proprie rotte”, prosegue la relazione. 

Almeno “25 attacchi Houthi” e “-35%traffici nel Canale di Suez”. Sono alcuni dei dati, sulla crisi di Gaza e il Mar Rosso, contenuti nella relazione 

“A seguito dell’attacco di Hamas a Israele dello scorso 7 ottobre e del conflitto che ne è derivato, l’Intelligence si è focalizzata in via prioritaria sull’impatto della crisi sulla minaccia terroristica in Italia e in Europa, con particolare attenzione sulle reazioni di al Qaida e Daesh e sulle possibili ricadute sul jihadismo globale”.  

“Negli ultimi mesi dell’anno si è infatti assistito a una rivitalizzazione della propaganda jihadista, non solo in chiave antisionista, ma anche tesa a rilanciare lo scontro tra Islam e Occidente, nell’intento di proiettare la minaccia oltre i confini del teatro del conflitto”.  

“Appare dunque concreto il rischio che la crisi possa costituire una cassa di risonanza per il messaggio jihadista, non solo andando a incidere sui processi di radicalizzazione, ma potendo anche fungere da innesco di potenziali lupi solitari stanziati in Europa, inducendoli a passare all’azione”, continua. 

Crescono attentati islamici in Europa – “In Europa, la minaccia jihadista ha conservato una crescente e quasi esclusiva connotazione endogena. Nel 2023, gli attentati direttamente riconducibili a una matrice islamista sono numericamente raddoppiati rispetto all’anno precedente (da 3 a 6), ma hanno mantenuto un numero di vittime relativamente contenuto (6 morti e 16 feriti)”.  

“In analogia con gli ultimi anni, si è trattato di azioni compiute da singoli soggetti, già presenti e/o residenti nel Paese target, non intranei a organizzazioni jihadiste e che, a eccezione del caso di Bruxelles (dove è stata utilizzata un’arma da fuoco automatica), hanno fatto uso di mezzi offensivi semplici (armi bianche) – sottolinea – Peraltro, l’azione belga si è distinta ulteriormente dalle altre in quanto è sembrata il frutto di una pianificazione più complessa, che avrebbe visto il coinvolgimento di diversi soggetti implicati soprattutto in circuiti criminali, ed è stata l’unica ufficialmente rivendicata da Daesh tramite la casa mediatica Amaq”. 

Italia potenziale bersaglio – “L’Italia si è confermata potenziale bersaglio per la sua centralità nel mondo cristiano, il suo impegno nella Coalizione antiDaesh e la presenza di luoghi simbolo della storia occidentale come il Colosseo che continua a essere considerato, dalla retorica d’area, obiettivo di conquista privilegiato nel cuore dell’Europa ‘miscredente'”, continua. 

Aumentano foreign fighters – “Si è mantenuta elevata l’attenzione informativa sui foreign fighters che a suo tempo hanno raggiunto il quadrante siro iracheno per unirsi a Daesh o ad altre formazioni terroristiche ivi operanti. Nel 2023, sono aumentati a 149 (di cui 39 returnees) i soggetti inclusi nella ‘lista consolidata’ redatta in ambito di Comitato Analisi Strategica Antiterrorismo, in quanto a vario titolo connessi con l’Italia”. 

“Con riguardo poi all’allontanamento dal territorio nazionale di soggetti potenzialmente pericolosi per la sicurezza nazionale, nel 2023 sono stati eseguiti, pure grazie al contributo informativo dell’intelligence, 77 rimpatri di cui 13, in prevalenza tunisini, a carico di soggetti che erano riusciti a rientrare in Italia clandestinamente nonostante fossero stati già rimpatriati negli anni precedenti”, conclude. 

“A due anni dall’invasione russa dell’Ucraina, il tema della consistenza degli effettivi dei due eserciti assume assoluto rilievo. In Russia, le perdite nel conflitto, sia di morti che di feriti, così come i cittadini fuggiti a causa della guerra, hanno ulteriormente peggiorato la crisi demografica. Si stima che negli ultimi quattro anni la popolazione russa abbia perso circa 2 milioni di persone a causa di guerra, esodo e pandemia. Nel lungo termine, il declino demografico inciderà negativamente sullo status della Russia quale grande potenza e sulla sua capacità di innovare”. E’ quanto si sottolinea nella relazione sul conflitto in corso. 

“Mosca può comunque contare su un bacino di potenziali ‘reclutandi’ quattro volte più ampio di quello del suo avversario. In Ucraina, conclusasi la mobilitazione dei volontari, il Paese dibatte su come ottenere un numero maggiore di truppe per consolidare le difese o tentare nuove azioni di controffensiva nel 2024 – prosegue – Inoltre, un nuovo disegno di legge governativo che mira, tra le altre misure, ad abbassare la soglia per i coscritti da 27 a 25 anni, è stato inviato a dicembre in Parlamento”. 

Calo degli aiuti occidentali – “Quanto all’entità degli aiuti assicurati dall’Occidente e da Paesi terzi, si evidenzia il delinearsi di due traiettorie distinte. Da un lato, sullo sfondo di una costante evoluzione di posizioni in seno alla Comunità internazionale, il sostegno dei Paesi Occidentali all’Ucraina, focale per la prosecuzione dello sforzo militare di Kiev, è continuato durante tutto il 2023, pur registrando un importante calo rispetto all’anno precedente. A fine anno l’aiuto militare complessivamente stanziato dai Paesi europei superava, per la prima volta, quello offerto dagli Stati Uniti”. 

“Dall’altro lato, è in aumento il sostegno che attori terzi offrono alla base industriale militare russa. Pechino, oltre ad accrescere le importazioni di prodotti energetici dalla Russia, ha probabilmente fornito a Mosca alcune tecnologie duali. Altri Paesi hanno invece offerto un supporto militare diretto: l’Iran ha messo a disposizione della Russia ingenti quantità di droni pronti all’uso e ha contribuito a creare la capacità di costruirne ulteriori; la Corea del Nord ha intensificato la cooperazione militare con Mosca, inviando supporto in munizionamento”, si osserva. 

Nel 2023 “soluzione conflitto rimasta remota” – “Durante il 2023, lo scenario di una soluzione del conflitto e di un conseguente avvio della ricostruzione dell’Ucraina è rimasto remoto. Non si sono svolti negoziati di pace significativi tra Mosca e Kiev per tre ragioni principali: è mancata la necessaria fiducia tra i belligeranti affinché si convincano a sedersi a un tavolo negoziale; nessuno dei due contendenti ha modificato i propri obiettivi strategici; ragioni di politica interna (non c’è sostegno a concessioni territoriali né da parte della popolazione ucraina, né da quella del presidente russo)”.  

“In particolare, ogni tentativo di Putin di segnalare l’avvio di possibili negoziazioni si è scontrato contro l’espressa volontà di non voler offrire alcuna concessione, in quanto una pausa nei combattimenti servirebbe solo alla ricostituzione delle Forze russe per sferrare nuovi attacchi – prosegue – Ciononostante, si è assistito a un proliferare di ‘iniziative di pace’ promosse da vari attori. Rilevano, al riguardo, il piano varato da un gruppo di esperti internazionali denominato ‘Kiev Security Compact’, le iniziative di Cina, Sudafrica (che ha guidato una proposta esibita a nome dell’Unione Africana) e Brasile, nonché ulteriori tentativi da parte di altri Stati”.  

“Tra le diverse iniziative, l’Ucraina ha cercato di aggregare consenso intorno alla ‘Formula di Pace’ del Presidente Zelensky, presentata già nel 2022, che prevede un piano in 10 punti, fondata sui seguenti cardini: sicurezza nucleare, sicurezza alimentare, sicurezza energetica, rilascio dei prigionieri, restaurazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina, ritiro delle truppe russe e cessazione delle ostilità, giustizia e creazione di un tribunale internazionale, protezione ambientale, prevenzione di un’escalation, conferma della fine della guerra – conclude la relazione – A compimento di un percorso di consultazioni multilaterali, che include la partecipazione dei Paesi del Sud Globale e riunioni tra i Consiglieri di Sicurezza Nazionale – a Copenaghen (24 giugno), Gedda (5 agosto) e Malta (28 ottobre) – nel 2024 Zelensky mira a indire un Summit della pace globale che dia inizio all’implementazione pratica della formula”. 

Da Russia disinformazione per minare Ue e Nato – “Nel 2023 gli apparati di informazione legati al Cremlino hanno continuato a operare all’interno del dominio dell’informazione per minare la coesione europea e la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni sia nazionali che dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica. Dopo il blocco imposto dall’UE alle attività verso gli Stati membri dei media russi, come Rt e Sputnik, e l’adozione di politiche più stringenti a contrasto della disinformazione e della propaganda di Mosca, quest’ultima ha potuto contare sull’appoggio di network mediatici di Paesi terzi per promuovere le proprie narrative ampliando, allo stesso tempo, la propria capacità di coordinamento a livello internazionale”.  

“Le narrazioni diffuse dalle campagne disinformative russe hanno riguardato, anche nel 2023, la colpevolizzazione della Nato e dei Paesi occidentali per la guerra in Ucraina, alla quale si aggiunge, come elemento di novità, quella per la guerra tra Israele e Hamas”, conclude. 

Nella relazione annuale dell’intelligence “viene dato il giusto spazio all’effetto dirompente delle nuove tecnologie” e al tema “della disinformazione”. Così il presidente del Copasir, Lorenzo Guerini, intervenendo a Palazzo Dante durante la presentazione della relazione annuale dei Servizi. Dalla relazione “emerge ancora una volta la consapevolezza” di quella che Guerini, parlando della disinformazione, non esita a definire “una minaccia per la nostra società”. Per il numero uno del Copasir servono “strumenti a livello nazionale e internazionale” per mettere in atto “una reazione efficace alla disinformazione”. 

“Nel 2024 ben 76 Paesi sono chiamati a votare, il 51% della popolazione mondiale, metà del Pil del mondo”. Lo afferma il direttore generale del Dis Elisabetta Belloni alla presentazione pubblica della “Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza”, curata dal Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, sottolineando che davanti a ciò “è intuitivo” parlare dei “rischi di interferenze e condizionamenti dei processi elettorali attraverso la minaccia ibrida”. 

“L’Intelligence dedica costante attenzione ai Balcani Occidentali osservando, in particolare, le aree connotate da latenti instabilità. La regione continua a presentare significative criticità, cui non sono estranei problemi di governance, dinamiche interetniche, fenomeni di criminalità e corruzione diffusa, ponendo ostacoli al progresso del cammino dei Paesi della regione verso l’Unione Europea e, in alcuni casi, influenzando negativamente la loro situazione securitaria”.  

“Sul piano dell’integrazione comunitaria, dalla fine del 2022 tutti i Paesi della regione, Kosovo escluso, hanno ottenuto lo status di candidato all’ingresso – prosegue – Ciononostante, le valutazioni date da Bruxelles sugli effettivi progressi raggiunti non fanno sperare in un’integrazione in tempi brevi: anche i Paesi più avanzati nei negoziati, come Serbia e Montenegro, scontano ritardi dovuti, da un lato, a una scarsa attitudine dei Governi della regione a riformare ambiti fondamentali per l’Unione Europea, come il settore giudiziario e la promozione dei diritti fondamentali, dall’altro, alla difficoltà delle Istituzioni comunitarie a rilanciare il processo di allargamento. In tale cornice, l’Italia svolge un ruolo fondamentale nel cercare di avvicinare la regione balcanica all’Unione Europea attraverso iniziative miranti ad accelerarne l’integrazione e sostenendo i processi di riforma interni”. 

“Nel 2023, il quadro securitario balcanico si è connotato fortemente per l’incerto sviluppo del processo di normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo, che al momento appare in sostanziale stallo, nonostante l’iniziale sviluppo positivo dell’accordo raggiunto a voce, ma mai firmato, tra i due Paesi a Ohrid (febbraio) – si osserva ancora – Ciò ha determinato un peggioramento, anche a livello di sicurezza, dei rapporti tra i citati Stati, alimentato dalle posizioni sempre più intransigenti dei Governi di Belgrado e Pristina”. 

“In uno scenario globale profondamente influenzato dallo scoppio della crisi di Gaza e dal perdurare del conflitto ucraino, l’analisi dell’Intelligence ha colto, in pressoché tutti i contesti presi in esame, un’accelerazione delle dinamiche competitive, sia di natura endogena che esogena, che hanno reso più fragili gli assetti statuali. Lo scenario africano si è presentato particolarmente articolato, altresì a causa dell’accresciuta presenza, anche militare, di attori extraregionali. In particolare, l’indebolimento delle strutture istituzionali e la ripresa della conflittualità tra fazioni ed etnie hanno fornito spazi per una più incisiva presenza in quei territori di attori globali quali Russia e Cina”. E’ quanto si sottolinea riguardo all’Africa. 

“In particolare, e al netto delle ricadute che potranno avere le riconfigurazioni delle compagnie mercenarie russe nel Continente, l’Intelligence ha evidenziato come il Cremlino sia rimasto più che mai intenzionato a mantenere una propria presenza strutturata in Nord Africa e Sahel, esercitando così una pressione sul fronte Sud dell’Alleanza Atlantica e insidiando interessi europei e occidentali – si sottolinea – Ciò, nel quadro di tentativi da parte di Mosca e Pechino di trasformare il Continente in un campo di competizione geopolitica con l’Occidente, spostandone il baricentro in direzione del cosiddetto Sud Globale che, proprio nel 2023, ha cominciato a esprimere un peso politico maggiore nei grandi consessi internazionali (Assemblea Generale Onu), rendendo problematica la gestione multilaterale delle crisi in corso”. 

“L’Intelligence ha assegnato prioritaria attenzione anche agli sviluppi dell’area saheliana, nella consapevolezza dell’importanza che la regione riveste sotto il profilo securitario, per la stabilità di Nord Africa, Africa occidentale e Golfo di Guinea, e quale hub di passaggio dei flussi clandestini verso la rotta del Mediterraneo centrale. Il contesto è rimasto caratterizzato da criticità strutturali e multidimensionali che nel tempo lo hanno qualificato quale principale incubatore di instabilità nel Continente, contribuendo anche ad agevolarne uno ‘sganciamento’ dalla sfera euro occidentale, a favore di politiche di consolidamento delle posizioni militari, commerciali e di influenza politica di Russia e Cina”. 

“Nel 2023 è andato infatti definendosi uno scenario di insofferenza verso sistemi e valori democratici percepiti come legato colonialista, a vantaggio di nuovi modelli autoritari che si presentano maggiormente efficaci a rispondere a crisi e a istanze locali”, prosegue la relazione. 

“Il quadrante asiatico si conferma centrale nella competizione tra Stati Uniti e Cina, specie nella sua dimensione marittima indo-pacifica. La stabilità dell’area è dunque decisiva per assicurare gli equilibri regionali e planetari. Si stima infatti che essa contribuisca per circa due terzi al pil del mondo, ospitandone metà della popolazione, distribuita in realtà statuali differenziate per ordinamento politico, grado di sviluppo economico, rilevanza del fattore religioso nel dibattito pubblico, allineamento ai valori euro-atlantici, ambizioni revisioniste dell’attuale ordine internazionale”.  

“Ciò posto, lungo le rotte che attraversano l’Indo-Pacifico transita una quota preponderante dei commerci via nave che per la gran parte doppiano snodi essenziali quali lo Stretto di Malacca e quello di Taiwan. Si tratta di un crocevia di collegamenti oggi indispensabili per molteplici catene globali del valore, destinate anche ad alimentare il sistema manifatturiero italiano, incluse quelle che impiegano fattori di produzione critici in settori ad alta tecnologia ed elevata domanda, come i semiconduttori e la componentistica necessaria alla transizione ecologica – prosegue – A questo reticolo di connessioni in superficie si aggiunge il rilievo parimenti strategico delle infrastrutture subacquee, tanto in termini di cablaggi e altri tracciati sottomarini, quanto per potenzialità di sfruttamento delle abbondanti risorse biologiche e minerarie”.  

“Tanto premesso, in considerazione dell’ampiezza e della complessità delle poste in gioco indicate rispetto agli interessi di potenze interne ed esterne alla regione, l’Indo-Pacifico pone crescenti dilemmi securitari e rappresenta un terreno di contese per affermarvi o esercitarvi influenza, se non diretto controllo”, osserva la relazione. 

“Le attività di raccolta informativa svolte dall’Intelligence, nel dare atto di un complessivo aumento delle offensive digitali in danno di obiettivi strategici nazionali – con particolare attenzione alle filiere delle infrastrutture digitali/servizi IT, dell’energia e dei trasporti, oltre che al settore pubblico istituzionale – evidenziano un sempre crescente ricorso ad azioni ostili caratterizzate da elevata intensità ma impatti limitati, volti principalmente a saturare le risorse dei target e causare un’interruzione dei servizi, nonché a renderne inaccessibili i dati sottostanti, attraverso l’impiego di ransomware”. 

“Con riferimento agli attori della minaccia, si conferma come le azioni ostili più incisive che investono il nostro Paese siano condotte prevalentemente da gruppi altamente specializzati (Minacce Avanzate e Persistenti – Apt), contigui ad apparati governativi dai quali ricevono linee di indirizzo strategico e supporto finanziario e, per questo, ritenute le più insidiose per il Sistema Paese in termini di informazioni esfiltrate (di natura sia geo-politica che economico-industriale), di perdita di operatività e competitività, nonché di dispendio delle risorse economiche necessarie per la loro mitigazione”, continua. 

“Si conferma il trend di graduale riduzione delle attività dei gruppi hacktivisti italiani rispetto al periodo della pandemia, caratterizzato da attacchi indirizzati prevalentemente contro il settore sanitario, quale forma di protesta verso le disposizioni imposte per il contenimento del Covid-19. In particolare, stante il progressivo dispiegarsi dei conflitti in Ucraina e nella Striscia di Gaza, è stata registrata da parte dei citati gruppi una tendenza ad azioni dimostrative (defacement e attacchi DDoS), rivolte prevalentemente verso obiettivi esteri, a sostegno dell’Ucraina e dello Stato Palestinese”, si osserva nella relazione. 

Russia e Cina principali attori di minaccia ibrida – “Anche nel 2023 la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese si sono confermate tra i principali attori della minaccia ibrida, in grado di condurre campagne in danno dei Paesi occidentali sfruttando alcune delle caratteristiche sistemiche che connotano le nostre società, quali l’apertura dei mercati e le garanzie di libertà e indipendenza dei media”. E’ quanto si sottolinea nella relazione. 

“Tra i due attori – che impiegano i vettori della minaccia ibrida (afferenti al c.d. spettro DimefiL, ossia Diplomatico, Intelligence, Militare, Economico-Finanziario, Informativo, Legale) differenziandosi per modalità, strategie e obiettivi – in questa fase storica la Russia risulta essere il più attivo, tra l’altro, in ragione del perdurare del conflitto in Ucraina, a sostegno del quale alimenta campagne multivettoriali in danno dell’Italia e dell’Occidente intero – conclude – Nell’ultima parte dell’anno, lo scoppio del conflitto tra Israele e Hamas ha portato nuova linfa alle iniziative ibride di Mosca, con un ventaglio di narrative disinformative a favore del popolo palestinese. Nel complesso, l’Italia e, più generalmente, i Paesi occidentali continuano a dimostrare un buon livello di resilienza sia rispetto al condizionamento dell’opinione pubblica, sia sul versante economico e della tutela degli asset strategici”. 

“Nel dominio economico le attività ibride russe sono state continue e crescenti dall’inizio del conflitto, soprattutto in campo energetico. In particolare, Mosca ha cercato di ostacolare le iniziative italiane ed europee di diversificazione energetica e di introduzione del price cap sul gas russo, nonché la creazione e il consolidamento di rapporti con quei Paesi che stanno assumendo un ruolo nuovo all’interno del panorama energetico europeo”, si sottolinea.  

“Ciò è avvenuto anche attraverso campagne informative di natura propagandistica atte a inquinare l’informazione verso il grande pubblico circa l’andamento dei prezzi dell’energia, l’inflazione e, più in generale, il costo delle materie prime. Sul versante cibernetico, il conflitto in Ucraina si conferma quale ilo conduttore principale delle campagne cyber malevole nei confronti dell’Occidente portate avanti da gruppi pro-Russia in danno di quei Paesi che supportano Kiev. Tali attacchi hanno natura sia spionistica che dimostrativa, in risposta all’appoggio politico, militare e diplomatico all’Ucraina”, conclude. 

“L’assetto produttivo italiano con la sua flessibilità distintiva, caratterizzata da una rete estesa di piccole e medie imprese – spesso in possesso di rilevantissimo know-how – rimane un fattore decisivo di competitività. Inoltre, le posizioni importanti in cui si colloca l’Italia nel campo della ricerca possono fungere non solo da catalizzatore per attrarre investimenti, ma anche da motore per la promozione di partnership internazionali”, rileva ancora il report, secondo cui “settori ad alta tecnologia, a partire dalla new space economy, dall’intelligenza artificiale, dalla robotica, dalle tecnologie per la transizione energetica, dalla salute e dal 5G potrebbero costituire proprio quel volano utile a colmare i gap strutturali di produttività, in una cornice di ridefinizione dei paradigmi economici, industriali e commerciali dove gli investimenti strategici, la promozione dell’innovazione e la formazione di competenze altamente specialistiche costituirebbero, a più forte ragione, fondamentali precondizioni di crescita”. 

“Lo sviluppo tecnologico e la sicurezza nazionale sono da considerarsi, oggi più che mai, due facce della stessa medaglia: la digitalizzazione porterà con sé crescita economica e nuove opportunità, rendendoci al contempo più vulnerabili ed esposti a un maggior numero di rischi”. 

“La centralità della trasformazione digitale per una crescita economica sostenibile e inclusiva è diventata particolarmente evidente negli ultimi anni a causa della pandemia da Covid-19, che ha accelerato, tra le altre, l’adozione di tecnologie di collaborazione e cloud su larga scala come conseguenza dell’aumento del lavoro da remoto – continua – La digitalizzazione è accompagnata da iniziative volte a rendere la Nazione più robusta e resiliente, cioè in grado di prevenire, mitigare e gestire i rischi derivanti dall’applicazione delle tecnologie d’avanguardia. Sono stati pianificati interventi tecnologici ad ampio spettro accompagnati da riforme strutturali, tra cui il supporto alla migrazione al cloud attraverso la creazione di un’infrastruttura nazionale, l’implementazione dei servizi digitali per i cittadini, nonché il potenziamento del Perimetro di sicurezza nazionale cibernetica del Paese”. 

Nella relazione si sottolinea anche che l’Intelligence è “impegnata a promuovere un incessante processo di innovazione al suo interno e al contempo a svolgere, sul piano del concorso informativo e dell’analisi, una sistematica azione di prevenzione e contrasto della minaccia, anticipando i rischi derivanti dallo sviluppo e dall’impiego delle forme più avanzate della trasformazione digitale. Ma la vera sfida in questo processo è quella di mantenere l’uomo saldamente al controllo dei sistemi tecnologici, di padroneggiarli senza farsene condizionare o, peggio, travolgere, comprendendone le potenzialità e soppesando le vulnerabilità e criticità che derivano dalla loro adozione in forma estesa. Il che vale in maniera particolare per i Servizi Segreti”. 

“L’immigrazione irregolare ha rappresentato, anche nel corso del 2023, una sfida per l’Europa e per l’Italia, cui è corrisposto un accresciuto impegno delle Istituzioni nazionali e internazionali nella prevenzione delle partenze, nell’attività di ricerca e soccorso in mare e nell’accoglienza dei migranti. Il Vecchio Continente, già gravato dal perdurare del conflitto russo-ucraino, che ha dato origine a oltre 6,3 milioni di rifugiati, ha visto evolversi i fattori di spinta dei flussi migratori a seguito delle conseguenze derivanti da conflitti armati in Africa e Medio Oriente”, si legge. 

“Tra questi vanno evidenziati la guerra scoppiata in Sudan ad aprile, che ha generato primariamente flussi interregionali, e la ripresa del conflitto tra Israele e Hamas a ottobre che, sebbene non abbia determinato un esodo verso i Paesi limitrofi, rappresenta comunque un rilevante elemento di destabilizzazione per l’area – si osserva – Nel Continente africano, da cui origina circa il 90% dei flussi diretti in Italia, in particolare nel Sahel, nell’Africa occidentale e in alcuni Paesi dell’Asia meridionale, fattori molteplici e ricorrenti – come il deterioramento del quadro securitario, i conflitti armati, le sfavorevoli congiunture politico-economiche e umanitarie, gli effetti negativi dei cambiamenti climatici, l’espansione demografica – sono alla base del movimento migratorio che coinvolge, principalmente in chiave intra regionale, milioni di persone”.  

“Una parte di questo flusso, oltrepassando i confini regionali, si dirige verso il Continente europeo, come dimostrato dalla preponderanza di cittadini africani tra le prime nazionalità dichiarate dai migranti irregolari al momento dello sbarco/ transito in Italia – conclude – Quello migratorio è un fenomeno globale, che va necessariamente affrontato e gestito attraverso la cooperazione internazionale, cui contribuisce nel suo perimetro di competenza anche l’Intelligence, in particolare per gli Stati di frontiera come l’Italia. Due ne sono le direttrici fondamentali: favorire l’azione di contrasto (disincentivare i flussi illegali favorendo forme di migrazione legale, aumentare i rimpatri degli immigrati irregolari, perseguire i network criminali) e arginare le cause scatenanti dei flussi (attraverso politiche concrete di aiuto ai Paesi di origine per migliorare le condizioni di vita, lavorative e sociali onde disincentivare la spinta a migrare irregolarmente)”. 

Network criminali agevolano fenomeno – “Sulla rotta del Mediterraneo centrale l’attivismo di gruppi e network criminali, che continuano a dimostrare notevole capacità di adattarsi ai mutamenti dello scenario, rappresenta uno dei principali fattori che agevolano il fenomeno migratorio”. 

“Obiettivo prioritario dell’intelligence è anche quello del monitoraggio, su tutte le rotte migratorie, di possibili infiltrazioni di elementi estremisti nei flussi irregolari, anche alla luce del quadro – non scevro da rischi per la sicurezza – creatosi in seguito allo scoppio delle recenti crisi internazionali – conclude – Sebbene vi siano stati casi di soggetti che hanno sfruttato i canali di immigrazione irregolare per fare ingresso in Europa, compiendo successivamente attentati, non sono tuttavia emerse evidenze di un utilizzo strutturato dei suddetti flussi per finalità di terrorismo. Non può inoltre trascurarsi il potenziale bacino di radicalizzazione rappresentato da soggetti ‘a rischio’ provenienti o transitanti da aree interessate dalla recrudescenza jihadista”. 

“L’Intelligence, in stretta sinergia informativa con le Forze di polizia, ha continuato a porre particolare attenzione all’attivismo anarco-insurrezionalista che, anche nel 2023, ha rappresentato, nello scenario eversivo interno, il più concreto e insidioso vettore di minaccia”. 

“Secondo quanto emerso, la metodologia operativa si è dispiegata su un piano sia ‘pubblico’ che ‘clandestino’, con un ampio ventaglio d’interventi, da cortei e presidi, in alcuni casi pure al fianco di altre realtà antagoniste per innalzarne il livello di radicalità, agli atti di vandalismo e danneggiamenti, fino ad azioni, potenzialmente più pericolose, poste in essere con manufatti incendiari ed esplosivi”, continua il report. 

“Il fattore climatico diventa un moltiplicatore di crisi e minacce, incrementando la competizione geopolitica in alcune regioni del mondo, esacerbando le fragilità interne ai Paesi più vulnerabili alle crisi climatiche e alimentando conflittualità per l’approvvigionamento di risorse sempre più critiche per lo sviluppo ordinato delle società civili”. E’ quanto si sottolinea. 

“È in tali termini, peraltro, che ci si esprime anche nel Concetto Strategico dell’Alleanza Atlantica. La comunità intelligence in ambito Nato, infatti, ha definito il cambiamento climatico come un fattore ‘moltiplicatore del rischio’, poiché i suoi impatti, oltre a essere globalmente diffusi, potrebbero contribuire ad aumentare le vulnerabilità delle economie già deboli e colpire anche quei territori con un clima temperato”, conclude. 

“A seguito della crisi in Medio Oriente, si è registrato un notevole incremento della propaganda antisemita e a sostegno dell’offensiva terroristica di Hamas, a ulteriore conferma di una già osservata convergenza occasionale, in termini di argomentazioni, slogan e iconografie, con i circuiti del jihadismo globale”. E’ quanto si sottolinea nella relazione in un capitolo relativo alla “destra suprematista e ‘accelerazionista’ internazionale”. 

“Le evidenze intelligence riguardanti le consorterie criminali più strutturate confermano la propensione verso una silente infiltrazione nel tessuto economico sano in luogo di più visibili reati predatori, strategia che porta a una sempre maggiore integrazione delle stesse in veri e propri circuiti affaristico-criminali. Questa connotazione ‘imprenditoriale’ tende così a creare o consolidare relazioni trasversali, sfruttando zone grigie nelle quali la demarcazione tra legalità e illegalità è sempre più sottile”.  

“La considerevole disponibilità di risorse finanziarie, ritraibili dai traffici illeciti, rende poi la criminalità ancor più competitiva, soprattutto in una fase storica connotata da crescenti difficoltà economiche, acuite dalla contingenza internazionale sfavorevole, aggravata prima dall’emergenza sanitaria e poi dai riflessi dei vicini conflitti in atto – continua – Pertanto, l’attenzione informativa ha continuato a indirizzarsi sull’individuazione di potenziali ovvero già manifeste minacce in grado di condizionare i processi decisionali amministrativi ai diversi livelli (anche attraverso metodi corruttivi), di alterare i meccanismi di allocazione della spesa pubblica e di ridurre gli spazi della libera concorrenza. In quest’ottica, prioritaria attenzione continua a essere riservata verso i progetti legati al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”. 

 

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