Cronaca

Melega “pulisce” la Lamborghini
con le cartelle esattoriali

Pulisce la sua Lamborghini con le cartelle esattoriali da circa 50 milioni di euro e posta il video su Instagram. Azione “provocatoria” firmata da Marco Melega, 51 anni, l’imprenditore cremonese residente a Padenghe sul Garda condannato dal tribunale di Cremona lo scorso 23 novembre a 10 anni, 5 mesi e 15 giorni di reclusione per frode fiscale, riciclaggio, bancarotta e per aver messo in piedi decine di episodi di truffe online.

In questi giorni l’imprenditore ha postato sui social un video provocatorio. “La carta non si butta”, si legge nel commento al video e alle fotografie dove avvicina le cartelle esattoriali alla carta igienica e finge di fumarle. “Si usa, soprattutto quella molto cara. Siate liberi di commentare con suggerimenti alternativi su come utilizzare carta che costa 50 milioni di euro”.

In un secondo video, Melega ha precisato: “Le carte da 50 milioni costituiscono una semplice provocazione atta a sensibilizzare un aspetto del rapporto tra istituzioni e imprenditori che a mio parere va ottimizzato. Massimo rispetto per tutti”.

Nei confronti dell’imprenditore cremonese, il tribunale di Cremona ha disposto la confisca di quanto in sequestro per un valore corrispondente a 1.301.028,75 euro, oltre ad una serie di pene accessorie, come l’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e inabilitato all’esercizio di un’impresa commerciale e incapace ad esercitare uffici direttivi in qualsiasi impresa per la durata di 5 anni.

Secondo l’accusa, Melega, avvalendosi di diversi prestanome e società “cartiere”, aveva messo in piedi un meccanismo finalizzato a riciclare a proprio vantaggio il denaro illecitamente accumulato attraverso le truffe online. Le fasi prevedevano la costituzione di società intestate a prestanomi, pubblicizzate su emittenti televisive e radiofoniche di rilievo nazionale e che vendevano a prezzi concorrenziali, attraverso siti di e-commerce, prodotti di vario genere, come vini pregiati, buoni carburante, prodotti elettronici.

Le somme di denaro ricevute sui conti correnti delle società utilizzate per le truffe erano trasferite ad altre società, simulando il pagamento di operazioni in realtà mai effettuate e quindi successivamente monetizzate attraverso altri trasferimenti, oppure sotto forma di stipendi, pagamenti di consulenze, anticipazioni di utili.

A capo di alcune delle società erano state messe “teste di legno“, persone che nulla avevano a che fare con il mondo manageriale. Tutti “piazzati” per amministrare le società che dopo aver guadagnato denaro, sparivano.

Sara Pizzorni

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