Cronaca

Uomini che maltrattano le donne
L'esperienza del Centro di Ascolto

Ne parla la psicologa Fernanda Werner, una delle fondatrici del CAM, centro ascolto uomini maltrattanti. "C'è voluto molto tempo per sensibilizzare il territorio, è stato  difficile all'inizio, c'era poco interesse. Adesso di queste violenze se ne parla talmente tanto, l'attenzione è talmente cresciuta che fatichiamo a stare dietro alle richieste"

Agire a livello culturale e sulla consapevolezza degli uomini: il contrasto alla violenza sulle donne si gioca anche su queste due leve. Un tema diventato purtroppo di scottante attualità per il femminicidio di Gulia Cecchettin e che vede diverse iniziative in questa settimana che prelude alla Giornata internazionale contro la violenza sulle donne che cade il 25 novembre.

A Cremona è attivo da nove anni il CAM, Centro Ascolto Uomini maltrattanti. Nessun caso di femminicidi, ma tanti di stalking e lesioni lievi (reati sentinella) con un crescendo di utenti andato di pari passo con l’introduzione delle norme introdotte di volta in volta dal legislatore per tentare di fermare il fenomeno, non sempre riuscendoci. Attualmente gli uomini seguiti dagli operatori del Centro sono suddivisi in gruppi di 12. Numeri altalenanti, visto che l’adesione è su base volontaria anche se in alcuni casi – come quando una persona ha già subito una condanna e chiede un alleggerimento della pena – la possibilità di evitare il carcere a patto di aderire ad un percorso di questo genere, incentiva la frequenza.

La psicologa Fernanda Werner

Come ci spiega una delle fondatrici, la psicologa Fernanda Werner, il livello di consapevolezza degli uomini che compiono gesti di violenza varia a seconda delle diverse tipologie di persone che frequentano il centro. Un gruppo di uomini accede spontaneamente, segno di una riflessione più profonda, “si rendono conto che qualcosa non sta funzionando in loro, si sono spaventati di un gesto commesso e vogliono capire il perchè del loro comportamento; si interrogano su come mai siano arrivati fino a lì e vogliono evitare di andare oltre”.

Diverso il caso di chi raggiunge il Centro in seguito ad ammonimento del questore: un percorso non obbligatorio, ma su base volontaria, che non sempre ha successo, diversi sono i casi di abbandono. Alcuni si presentano, altri no; i primi hanno una consapevolezza un po’ a metà per così dire.

Ci sono poi gli uomini che hanno già subito una condanna e in questo caso la frequenza al CAM è praticamente un obbligo in quanto si collega ad una riduzione di gravità della misura cautelare imposta dal giudice, finalizzata ad evitare il carcere. “Questa tipologia di persone – spiega la psicologa – fa più fatica ad ammettere la propria responsabilità, anche se ha patteggiato su consiglio del legale ed è più faticosa anche la ricerca della motivazione iniziale. Evitando sempre le generalizzazioni, perchè ognuno fa caso a sè, le persone arrivano con molta rabbia dentro, si sentono obbligate. Ma tranne che in casi particolari, il percorso lungo e impegnativo che proponiamo (12 mesi, con incontri una volta alla settimana) anche attraverso il confronto di gruppo, porta a un reale cambiamento”.

Tra i partecipanti, nessun giovanissimo come Filippo Turetta, l’omicida di Giulia Cecchettin: la fascia d’età è mediamente medio alta, con un solo caso di un 26enne che sta ancora frequentando il centro pur in riferimento a fatti commessi quando era minorenne e in seguito ai quali ha scontato la pena.  Sull’altro estremo anagrafico, ci sono gli ultra60enni, che in genere faticano più degli altri a superare il concetto che la donna maltrattata “se lo è meritato”.

“L’anno prossimo la nostra associazione compie 10 anni – commenta Werner – C’è voluto molto tempo per sensibilizzare il territorio, è stato  difficile all’inizio, c’era poco interesse. Adesso di queste violenze se ne parla talmente tanto, l’attenzione è talmente cresciuta che fatichiamo a stare dietro alle richieste”. gb

© Riproduzione riservata
Caricamento prossimi articoli in corso...