90 anni fa da Cremona la spedizione
delle 16mila camicie nere a Roma
Retorica e propaganda nella Cremona farinacciana: la storia della straordinaria mobilitazione organizzata dal fascio cremonese per compiacere il Duce e risanare i rapporti Farinacci - Mussolini, in occasione della Mostra della Rivoluzione organizzata nel decennale della Marcia
di Fabrizio Superti
“Sedicimila Camicie nere cremonesi, le stesse che Voi conosceste nel ’20, nel ’22, nel ’23 e nel ’24 a Cremona, impazienti di salutarVi alla voce, stanno viaggiando con treni, automobili e motociclette verso Roma immortale. In questa notte di vigilia non si odono che canti della Rivoluzione, non prorompe che un grido: Viva il Duce!”
Così telegrafava Francesco Gambazzi, federale di Cremona, all’indirizzo di Mussolini preannunciando l’arrivo nella capitale di un imponente numero di cremonesi diretti a visitare la Mostra della Rivoluzione e a ricevere il saluto del Capo del fascismo italiano; un vero e proprio esodo di massa, forse il più ingente mai avvenuto, che prevedeva il trasferimento di oltre 15.000 cremonesi indirizzati con ogni mezzo di locomozione verso la città Eterna.
L’obiettivo prevalente di tale operazione prevedeva appunto l’approdo alla Mostra della Rivoluzione, evento fortemente voluto dal Regime per celebrare in modo trionfale la ricorrenza del decennale della marcia su Roma; in un periodo ancora contrassegnato dalle difficoltà economiche derivanti dalla crisi del 1929, risultava assai prezioso rinvigorire l’animo di un Paese comunque ancora segnato dagli strascichi della depressione finanziaria e commerciale che aveva colpito l’economia mondiale. Il recupero e l’esaltazione delle gesta che avevano caratterizzato la salita al potere del fascismo finivano pertanto per essere funzionali ad una nuova narrazione che evidenziava i traguardi raggiunti nel decennio trascorso.
L’evento, ideato e diretto da Dino Alfieri, fu ospitato presso il Palazzo delle Esposizioni dal 28 ottobre del 1932 al 28 ottobre del 1934; la mostra, suddivisa in tredici sale espositive, raccoglieva materiale riferito al periodo intercorso fra il 1914 ed il 1922. Nei due anni di apertura si registrò un afflusso di oltre quattro milioni di visitatori.
Il passaggio presso la mostra rappresentava una sorta di dovere morale a cui ogni buon fascista, specie se della prima ora, non poteva sottrarsi; il partito ovviamente dispiegò la propria forza organizzativa, sollecitando magari i meno entusiasti, affinché l’afflusso verso Roma assumesse proporzioni significative.
UNA MOBILITAZIONE SENZA PRECEDENTI – La raccolta delle adesioni alla manifestazione raggiungeva già verso la fine di settembre una cifra pari a ottomila unità; l’opera di reclutamento era affidata in particolare ai commissari di zona ed ai segretari politici presenti in ogni comune.
Nel frattempo una delegazione di deputati cremonesi, composta da Farinacci, Moretti e Giordani, si recava in visita da Mussolini con al seguito il Segretario del partito fascista Achille Starace; durante il colloquio Mussolini ricordava le sue visite a Cremona garantendo, inoltre, un suo prossimo ritorno nella città del Torrazzo. Le autorità cremonesi riuscivano a concordare con il Duce un suo saluto alle camicie nere nell’imminente trasferta prevista per l’otto di ottobre.
La notizia riportata del saluto del Duce comportava, nel volgere di pochi giorni, una impennata di adesioni tale da raddoppiare il numero dei partecipanti; di fronte a tale massiccio riscontro si riteneva di chiudere le iscrizioni entro la sera del 29 settembre in modo da poter definire le modalità con cui predisporre la complessa trasferta. La cifra raggiunta costituiva già un numero tale da ritenere impossibile un ulteriore incremento; le richieste aggiuntive non poterono essere pertanto accolte in quanto si appalesavano criticità in merito alle modalità di trasferire un simile apparato in tempi assai contingentati. Il mondo femminile, ad esempio, veniva completamente escluso dalla iniziativa; la rappresentanza del gentil sesso era garantita da una pattuglia del fascio femminile guidata dalla professoressa Brambati. La mancata partecipazione femminile rispondeva probabilmente sia ad una questione di ordine morale, all’epoca ancora ben strutturata, che alla tipologia “virile” propria della manifestazione.
Nel frattempo gli organizzatori iniziavano a definire i dettagli dell’imponente trasferta che ovviamente si sarebbe dispiegata attraverso il trasporto su rotaia; l’interazione con gli uffici ferroviari evidenziava fin da subito alcuni problemi di carattere tecnico di non facile risoluzione. Per ragioni di sicurezza le partenze dei convogli dovevano susseguirsi ad una distanza di almeno dieci minuti; la partenza da un’unica località di quindici treni, quanti se n’erano stimati necessari, avrebbe comportato una distanza troppo marcata fra l’arrivo del primo e dell’ultimo dei convogli. In aggiunta sussisteva anche il problema che tanti convogli sulla stessa linea avrebbero, di fatto, paralizzato il traffico ordinario; per ovviare a tali situazioni si conveniva di dirottare i vari treni lungo tre diverse dorsali ferroviarie (Bologna-Firenze, Sarzana-Pisa e Pavia-Genova) in grado comunque di garantire l’approdo quasi concomitante dei mezzi verso la Capitale.
Per evitare di movimentare una massa così ampia di persone verso la stazione di Cremona, si ritenne di predisporre la partenza dei quindici convogli in vari punti del territorio provinciale. Dal capoluogo sarebbero pertanto partiti quattro convogli, due di sole carrozze di terza classe e gli altri misti, mentre gli altri da Capralba, Crema, Castelleone, Soresina, Casalbuttano, Robecco, Piadena, Palvareto, Casalmaggiore, Malagnino e Pizzighettone.
Ogni treno era composto da quattordici carrozze con l’aggiunta di un vagone riservato ai bagagli e agli strumenti delle undici bande musicali che partecipavano alla trasferta; il costo del biglietto era stato stabilito in 40 lire per il viaggio in terza classe e 60 per la più confortevole seconda classe. Per favorire l’afflusso e facilitare l’accesso ciascun treno era contraddistinto da un diverso colore, pari al colore del biglietto consegnato ad ogni partecipante. In aggiunta tutti gli aderenti al viaggio avrebbero dovuto esibire sulla camicia un drappo del colore di appartenenza nonché un distintivo metallico appositamente coniato dalla ditta Maffei di Casalmaggiore.
Per garantire l’ordine, la disciplina e l’assistenza sanitaria su ogni convoglio era stata prevista la presenza di un responsabile supportato da cinque aiutanti nonché quella di un medico e di un infermiere.
Ogni comune doveva inoltre prevedere la presenza del podestà, in camicia nera e fascia tricolore, e del segretario politico; nell’analisi in merito alle adesioni per singole realtà amministrative si segnalava il primato di Drizzona che inviava a Roma circa il 33% della sua popolazione in fascia adulta (alla spedizione potevano aderire solo i maschi dai sedici ai settant’anni). Elevati indici di partecipazione si rimarcavano anche nel settore di Palvareto, Casalmaggiore e Robecco d’Oglio.
A completare la rappresentanza cremonese si segnalava la partecipazione di cinquanta motociclisti che avrebbero raggiunto Roma in un’unica tratta senza soste particolari; a guidare la pattuglia dei centauri, tutti in camicia nera ed associati al moto club, si distingueva l’ingegner Leonida Betti.
Per favorire l’afflusso alla manifestazione il prefetto aveva emanato ordinanze che prevedevano la chiusura, in via straordinaria, di varie tipologie di attività commerciali operanti in città.
(-continua)