Spettacolo

Venerdì 10 novembre al Ponchielli
Luisa Miller di Giuseppe Verdi

Titolo assente per diversi anni dai palcoscenici lombardi: Luisa Miller di Giuseppe Verdi, approda al Teatro Ponchielli venerdì 10 novembre alle 20.00 (in replica il 12 novembre ore 15.30), in un nuovo allestimento firmato dal regista belga Frédéric Roels con la direzione del M° Carlo Goldstein che torna sul podio del Ponchielli dopo il successo di Guglielmo Tell nel 2019.

Luisa Miller: un titolo che non fa parte del repertorio più eseguito del compositore di Busseto ma che certamente vanta alcune tra le pagine operistiche più intense del repertorio verdiano.

Spesso pensiamo: ah, se fossi nato in un’altra epoca, cosa avrei vissuto?

Verdi, riferendosi a Schiller, pioniere del romanticismo tedesco “Sturm und Drang”, conferisce al belcanto italiano una risonanza oscura, tumultuosa, nordica. Come altri prima di lui, in particolare Bellini. Ci sono queste due componenti in lui: il lato solare, bollente dell’italianità, e il lato oscuro di un romanticismo nordico dove l’animo umano seppellisce le sue passioni segrete. Come ne La Traviata, Il Trovatore o Rigoletto, questo è già evidente in questo piccolo gioiello che è Luisa Miller, che anticipa il grande periodo della sua maturità.

Tra Verdi e Schiller c’è la distanza di due culture, ma anche quella di due generazioni. Uno scarto temporale caratterizza l’incontro tra questi due colossi, uno della musica, l’altro della letteratura. Questa distanza mi interessa, perché stabilisce l’interesse drammatico dell’opera.

L’amore tra Luisa e Rodolfo non può portare ad un’unione felice. A prima vista, perché non appartengono alla stessa classe sociale, come in tante altre opere dell’Ottocento, Rodolfo è il figlio del signore locale, destinato a sposare una duchessa, Luisa è solo una ragazzina di paese. Solo che, a ben vedere, questa divisione sociale è un’illusione, basata su una menzogna: Walter, il padre di Rodolfo, non è un uomo nobile, ha preso il potere con la forza, l’omicidio e l’inganno. Il vero divario tra Luisa e Rodolfo è un malinteso temporale. Luisa era stata promessa dal padre, un anno prima, al castellano di Walter. Padre Miller è parzialmente vincolato da questa promessa. E Rodolfo porta sulle spalle il peso di un delitto del passato, di cui è stato unico testimone e che non osa rivelare. Le pesanti costrizioni del passato, per entrambi, non permettono di amarsi come vorrebbero, liberi e spensierati. Anche la duchessa Federica, compagna d’infanzia di Rodolfo, è oppressa dal peso del suo passato: un matrimonio d’obbligo, presto distrutto dal lutto.

Forse, in un altro tempo, in un altro contesto, questi giovani avrebbero potuto essere felici e liberi. Chi può saperlo!

Nella scena tra Luisa e Wurm, nell’atto 2, la famosa cabaletta di Luisa “A brani, a brani, o perfido” esprime la disperazione di Luisa nel dover scegliere tra l’amore di Rodolfo e la vita di suo padre, ed è intervallata da una frase chiave da Wurm: “Coraggio, il tempo è la cura per tutti i dolori profondi dell’uomo”. Ma come possiamo intendere questa frase in un mondo in cui il tempo è fuori controllo? E come possiamo sentire questa verità dalla bocca di un uomo che si nutre solo di menzogne?

Non è tutto. L’equivoco temporale continua. La morte di Luisa avrebbe potuto essere evitata se Rodolfo avesse saputo della menzogna in cui lei si era intrappolata. Il veleno ha già fatto effetto quando si rivela la verità. In questa scena finale è naturale ripensare alla storia di Romeo e Giulietta. Tutti vorremmo (Rodolfo/Romeo in primis) poter tornare indietro nel tempo, agire prima dell’effetto del veleno, ma è troppo tardi.

Il coro all’inizio dell’opera canta la prossima primavera, l’alba di aprile. Ma ovviamente è un’illusione: in Luisa Miller la primavera non preannuncia l’estate, ma corre a ritroso verso un lungo inverno.

E di fronte a tutto questo, c’è un personaggio che trascende il tempo: Miller, un soldato, un eroe, solido e onesto. Padre amorevole, ignaro del cambiamento dei tempi, che spera ancora che possa arrivare un futuro migliore.

Vedo Luisa Miller come una storia “di altri tempi”. Il libretto è teoricamente ambientato all’inizio del XVIII secolo, Schiller scrisse la sua opera alla fine del XVIII secolo, Verdi compose la sua opera a metà del XIX secolo… Alla base di questi rapporti umani caratterizzati dalla genealogia, dalla gerarchia di classi, ci vedo un riferimento feudale ereditato dal Medioevo. Ma come eco più che come situazione storica, una storia complessa che sfocia in una trappola fatale. L’opera originale di Schiller si intitola “Kabale und Liebe”. La cabala e l’amore non sono, in definitiva, di ogni tempo?

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