Cronaca

In Cattedrale l’ultimo saluto
a mons. Angelo Staffieri

«Ci mancherai. Mancherai al presbiterio, mancherai ai tuoi fratelli, alla tua famiglia, mancherai alle comunità in cui sei cresciuto e in cui hai prestato servizio, ma non mancherai in Cielo. E allora lì fai festa e intercedi perché nel mondo non cessino la speranza, la gioia, i motivi di fiducia e i motivi di festa».«Intercedi insieme a noi in questa Messa per la pace nel mondo». Si sono aperte con queste parole, pronunciate dal vescovo Antonio Napolioni, le esequie di mons. Angelo Staffieri, 77 anni il prossimo 29 ottobre, canonico del Capitolo della Cattedrale deceduto lo scorso 13 ottobre. Le esequie, celebrate nella mattinata di lunedì 16 ottobre nella Cattedrale di Cremona, sono state presiedute dal vescovo Napolioni e concelebrate dal vescovo emerito Dante Lafranconi, dai canonici del Capitolo e diversi altri sacerdoti diocesani.

Una vita, quella di mons. Staffieri, descritta dal Vescovo attraverso un parallelismo con le letture della celebrazione. Così come l’identità di san Paolo, anche «la chiamata, la vita sacerdotale di don Angelo, è una cornice: il quadro è un altro. E direi che don Angelo è stato una bella cornice. Ci teneva a far fare bella figura al Signore». «E in questo senso – ha aggiunto Napolioni nell’omelia – ha saputo usare al meglio questo pizzico di sano narcisismo, che deve far parte della vita di tutti noi. In un tempo di narcisismo patologico e ossessivo, è delicato parlare di un narcisismo sano. Ma siccome viviamo anche un tempo di depressione, di pessimismo, di nichilismo, è belo vedere dei preti sorridenti e non con una maschera, ma con una trasparenza umile della gioia di essere cristiani».

Nel Vangelo del giorno, Gesù giudica malvagia la generazione che lo circonda, che cerca segni straordinari. «Attenzione a non cadere nella trappola di giudicare male la gente – ha messo in guardia il Vescovo –. A volte la pretesa di noi sacerdoti è vedere le proprie comunità sempre vivaci, attive, generose, unite. Ma qual è il segno che rende possibile il coinvolgimento di generazioni umane nella fede e nella carità? Gesù dice il segno di Giona, il segno di Salomone. “Qui c’è più di Giona… più di Salomone”. Noi invece dovremmo dire “in noi c’è meno di Giona, meno di Salomone”: solo Gesù è il segno per eccellenza. E infatti Paolo punta tutto affinché si possa suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, per la gloria del nome del Signore». «Ecco la povertà di questo momento – ha proseguito il Vescovo – nel quale i bilanci umani lasciano il posto alla consegna finale, definitiva, di una vita sacerdotale condivisa gioiosamente e umilmente con tutti».

L’omelia si è conclusa nel ricordo del costante desiderio, da parte di mons. Staffieri, di tornare a cantare le Lodi e i Vespri: «Il Signore lo ha preso troppo sul serio. Lo ha trasferito in un altro coro. E da lì ci aiuti davvero a essere popolo che canta e cammina, pellegrino nella storia, senza lasciarsi intimorire dalle vicende del mondo, ma facendosi invece illuminare dal santo timor di Dio, per poter proclamare la Parola eterna, e servire instancabilmente il bisogno dell’amore di Dio che c’è anche in questo mondo».

Dopo l’ultimo saluto, la salma di mons. Staffieri è stata portata al cimitero di Formigara, suo paese d’origine, per la sepoltura.

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