Cronaca

Melega: "Macchè truffe". E si dice
vittima del suo "uomo di fiducia"

“Non vedevo l’ora di poter dire la mia dopo 4 anni di attacchi e di offrire ai giudici spunti di riflessione per cancellare questo alone negativo che si è creato su di me”. Così Marco Melega, 50 anni, cremonese, imprenditore, produttore discografico, esperto di marketing, fondatore della moneta complementare, si è difeso oggi davanti al collegio del tribunale di Cremona dalle accuse di associazione a delinquere finalizzata alle truffe online, frode fiscale, riciclaggio e bancarotta fraudolenta. Per cinque lunghe ore, Melega, apparso sicuro di sé, con la “voglia di chiarire”, ha detto la sua verità, ritenendosi vittima di Cristiano Visigalli, per i finanzieri suo “uomo di fiducia” con cui fu arrestato nel luglio del 2019.

“Con Visigalli c’era un’amicizia trentennale”, ha spiegato l’imputato. “Era lui che aveva piena autonomia gestionale, era lui che amministrava le società. Per tutto ciò che riguardava il marketing, invece, si rivolgeva a me, mi chiedeva consiglio su tantissime cose. Io per lui ho fatto solo da intermediario”.

“Dal 1993”, ha detto Melega, sposato, due figli, amante dello sport, “mi occupo di marketing. E’ la mia passione, insieme alla comunicazione e all’aspetto commerciale. Ho chiuso contratti molto importanti, il mio lavoro era quello di portare a casa profitti. Di vendite online non mi sono mai occupato. E’ Visigalli che mi ha messo in questa situazione assurda. Io gli ho voluto tanto bene in un contesto quasi familiare, seppur nella sua originalità e con i suoi difetti. Ma dopo la morte del padre è cambiato”.

Secondo la procura, Melega, avvalendosi di diversi prestanome e società “cartiere”, avrebbe messo in piedi un meccanismo finalizzato a riciclare a proprio vantaggio il denaro illecitamente accumulato attraverso le truffe online. Le fasi prevedevano la costituzione di società intestate a prestanomi, pubblicizzate su emittenti televisive e radiofoniche di rilievo nazionale e che vendevano a prezzi concorrenziali, attraverso siti di e-commerce, prodotti di vario genere, come vini pregiati, buoni carburante, prodotti elettronici.

Secondo quanto accertato dalla guardia di finanza nell’operazione “Doppio Click”, le somme di denaro ricevute sui conti correnti delle società utilizzate per le truffe erano trasferite ad altre società, simulando il pagamento di operazioni in realtà mai effettuate e quindi successivamente monetizzate attraverso altri trasferimenti, oppure sotto forma di stipendi, pagamenti di consulenze, anticipazioni di utili.

A capo di alcune delle società ci sarebbero state “teste di legno“, persone che nulla avevano a che fare con il mondo manageriale. Tutti “piazzati” per amministrare le società che dopo aver guadagnato denaro, sparivano.

Per l’accusa, la “mente” di tutto sarebbe stato proprio Melega, sul quale l’amico Visigalli, che ha già patteggiato in udienza preliminare, aveva scaricato tutte le colpe. Oggi l’imprenditore cremonese si è detto invece vittima del suo “uomo di fiducia”. Sarebbe stato Visigalli, dunque, a realizzare materialmente tutte le operazioni finalizzate alla truffa, come ad esempio la sottoscrizione di contratti fasulli del ramo di azienda pubblicitario, colui che identificava e reclutava i diversi prestanome, che operava sui conti correnti delle società destinatarie del denaro ottenuto tramite i raggiri e che poi girocontava in favore di altre imprese, come la Domac e la Consulting, affinchè venissero ‘ripuliti’ prima che gli stessi fuoriuscissero in favore degli effettivi beneficiari.

Oggi, in aula, si è parlato di questo complesso intreccio di società. Della Consulting, Melega era direttore generale operativo, nonchè “key man” (uomo chiave), come si è definito lui stesso, mentre nella Promotional Trade aveva il ruolo di “garante”. Alla Consulting, collegata a Media Barter, con uffici a Bussolengo, in provincia di Verona, ai clienti si offriva la pubblicità sui media in cambio dei prodotti fuori catalogo o giacenze di magazzino. Per la finanza, la srl altro non era che una delle società cartiere intestate a prestanome. “Falso”, per Melega, che in più di un’occasione, durante il suo esame, ha attaccato l’indagine della guardia di finanza. “Il mondo del barter pubblicitario, lo scambio di beni e servizi senza l’utilizzo del denaro”, ha spiegato Melega, “offre grandissime opportunità. Tutto è perfettamente legale.  Qui è successo che l’assenza di flussi finanziari ha tratto in inganno i finanzieri”.

Il 9 novembre sono previste le conclusioni del procedimento, con la requisitoria del pm Chiara Treballi e le arringhe dei difensori Ilenia Peotta e Luca Angeleri. Per eventuali repliche e la sentenza è stata fissata una successiva data, quella del 23 novembre.

Sara Pizzorni

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