Economia

La denatalità si abbatte
sulla forza lavoro: -5% di giovani

Lo studio della CGIA di Mestre evidenzia il calo di popolazione tra i 15 e i 35 anni: in Italia -7,2%; a Cremona, tra le peggiori in Lombardia, - 5%

Negli ultimi dieci anni è sceso di quasi un milione il numero dei giovani tra i 15 e i 34 anni, una contrazione nella fascia di età più produttiva della vita lavorativa che sta arrecando grosse difficoltà alle aziende italiane. Lo rivela l’ultimo studio della Cgia Mestre che ha diffuso anche i dati provincia per provincia: a Cremona la diminuzione tra  2013 e 2023 in questa fascia d’età è stata di 3.686 persone, un calo del 5%: inferiore alla media italiana (7,4%) ma quasi il doppio di quanto avvenuto nelle province limitrofe di Brescia (-2,7%), Bergamo (-2,2%); e comunque superiore alla vicina Mantova (-4,5%).

Un distacco ancora più evidente se si guarda alla vicina Emilia Romagna dove al contrario la popolazione in quell’età lavorativa è cresciuta: Piacenza, Parma, Modena, Ravenna, Bologna, vedono un saldo positivo di giovani, compreso tra il +0,9% di Piacenza e il 7,5 di Bologna.

Le conseguenze descritte dalla Cgia di Mestre sono le stesse che lamentano gli imprenditori cremonesi: non solo c’è lo storico problema di trovare candidati disponibili e professionalmente preparati, ma anche la platea degli under 34 pronta ad entrare nel mercato del lavoro si sta progressivamente riducendo. Insomma, la crisi demografica sta facendo sentire i suoi effetti e nei prossimi anni la rarefazione delle maestranze più giovani è destinata ad accentuarsi ulteriormente.

“Tra il 2023 e il 2027 – scrivono gli analisti di CGIA Mestre –  ad esempio, il mercato del lavoro italiano richiederà poco meno di tre milioni di addetti in sostituzione delle persone destinate ad andare in pensione2. A legislazione vigente pertanto, nei prossimi 5 anni quasi il 12 per cento degli italiani lascerà definitivamente il posto di lavoro per aver raggiunto il limite di età. Con sempre meno giovani destinati a entrare nel mercato del lavoro, “rimpiazzare” una buona parte di chi scivolerà verso la quiescenza diventerà un grosso problema per tanti imprenditori.

“Alla luce della denatalità in corso nel nostro Paese, appare evidente che per almeno i prossimi 15-20 anni dovremo ricorrere stabilmente anche all’impiego degli extracomunitari. In che modo? Per legge, a nostro avviso, dovremmo stabilire che il permesso di soggiorno, a eccezione di chi ha i requisiti per ottenere la protezione internazionale e di chi entra con già in mano un contratto di lavoro, andrebbe accordato a chi si rende disponibile a sottoscrivere un patto sociale con il nostro Paese. Il contenuto dell’accordo? Se un cittadino straniero si impegna a frequentare uno o più corsi ed entro un paio di anni impara la nostra lingua e un mestiere, al conseguimento di questi obbiettivi lo Stato italiano lo regolarizza e gli “trova” un’occupazione. Sia chiaro: è un’operazione complessa e non facile da gestire, anche perché il tema dell’immigrazione e del suo rapporto con il mondo del lavoro è molto articolato. Non solo; tutto ciò richiede una Pubblica Amministrazione in grado di funzionare bene e con performance decisamente superiori a quelle dimostrate fino a ora. Il buon esito di un’iniziativa di questo tipo, ad esempio, non può prescindere da una ritrovata efficienza dei Centri per l’impiego, altrimenti la possibilità che l’iniziativa naufraghi è pressoché certa”.

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