Cronaca

Caso Pamiro, il papà: "Le prove
parlano da sole. Mio figlio ucciso"

Seconda opposizione alla richiesta di archiviazione del caso di Mauro Pamiro, il 44enne professore di informatica all’istituito Galilei, trovato cadavere il 29 giugno del 2020 in un cantiere edile in via Don Primo Mazzolari a Crema. Oggi Franco Pamiro, 82 anni, si è presentato davanti al giudice accompagnato dagli avvocati Antonino Andronico e Gian Luigi Tizzoni per chiedere di non accogliere la richiesta del pm di archiviare il caso.

Franco Pamiro

C’era riuscito nel gennaio dello scorso anno, quando, nonostante la prima richiesta di chiudere da parte del pm Davide Rocco, il gip aveva ordinato nuove indagini, che però non hanno fatto emergere elementi nuovi, tanto che la procura ha chiesto l’archiviazione per la seconda volta.

Nel video agli atti, Mauro, ripreso da una telecamera alle 2 della mattina del 28 giugno, solo, scalzo e senza telefonino, lascia via Biondini, dove abitava, e si dirige in via Camporelle verso il cantiere situato in via Don Primo Mazzolari. Per chi ha indagato, si sarebbe arrampicato sull’impalcatura per poi cadere. O suicidio o incidente. Tesi a cui non hanno mai creduto i genitori del professore. Secondo loro, il figlio sarebbe stato ucciso in un luogo diverso per poi essere trasportato nel cantiere dove è stato ritrovato. “Le prove parlano da sole”, ha sostenuto anche oggi l’ingegner Pamiro, che in un suo quaderno ha raccolto foto, riflessioni e tante domande su cosa possa essere successo a suo unico figlio.

Ad esempio: “Il capo della vittima è reclinato a destra. Perchè allora il sangue scaturito dalla lesione sulla fronte, anzichè colare a destra, come dovrebbe, si è coagulato centralmente?”. E ancora: “Come si concilia la posizione supina della vittima con l’ubicazione delle lesioni, situate esclusivamente sulla parte anteriore del corpo?”. “A cosa è dovuto l’esteso imbrattamento ematico sul braccio sinistro e sulla mano sinistra?”. “La vittima ha una lesione lacero contusa sul cuoio capelluto. Può essere compatibile con una lesione causata da una bastonata in testa?”. “Il frammento di tegola a cui è stata imputata la lesione sulla fronte è adagiato sul terreno. Se il corpo è caduto da un’altezza di 6 metri, impattando la tegola con la fronte, perchè il naso non è fratturato?”. “Se la tegola non può essere stata la causa della lesione sulla fronte, perchè ha tracce di sangue della vittima?”. “Sul braccio destro sono impressi dei segni compatibili con la trama di una rete, non presente sul cantiere. Tali segni sono stati oggetto di ben 13 fotografie da parte degli operatori. Perchè nei verbali non se ne fa alcun cenno?”.

Tutte domande, per l’ingegner Franco Pamiro, rimaste senza risposta, ma per lui tutte prove del fatto che in quel cantiere, Mauro ci è stato trascinato dopo essere stato ucciso”.

Un anno fa, in luglio, nel corso delle verifiche sulla macchina di Pamiro e nella casa del professore e della moglie Debora Stella, indagata come atto dovuto per omicidio, non era stato trovato nulla. L’esame del Luminol aveva dato esito negativo. Niente sangue o altro materiale biologico riconducibile a Pamiro nella casa di via Biondini e niente sangue sulla Citroen C3 grigia della coppia.

“Accertamenti fatti troppo tardi”, ha sempre detto Franco Pamiro, sconcertato dal caos trovato  nell’appartamento della coppia subito dopo la scoperta del cadavere nel cantiere. “Perchè non sono stati fatti rilievi scientifici nell’immediatezza dei fatti?”.

Una foto dell’abitazione di Pamiro e della moglie

Per gli avvocati Andronico e Tizzoni, “sono evidenti tante lacune legate alle modalità di ritrovamento del corpo che non sono compatibili con l’ipotesi del suicidio, perchè non ci sono elementi di riscontro oggettivo che Mauro si sia gettato da quell’altezza e anche per le modalità in cui è stato ritrovato il corpo”.

Dall’analisi della documentazione medica è emerso che Pamiro aveva assunto cannabis in epoca prossima al decesso e che consumava regolarmente la stessa sostanza, per lo meno negli ultimi sei mesi di vita.

“Mauro purtroppo era una persona abituata all’assunzione in quantitativi che noi reputiamo tollerabili”, ha detto l’avvocato Tizzoni, “e non tali da portare al suicidio. Anche per quanto riguarda l’uso di cannabis della moglie, dovremmo immaginare un uso continuativo per giorni e giorni, e anche questo stride con alcune testimonianze e con alcuni suoi comportamenti”.

Secondo la procura, invece, quella notte il professore si sarebbe lanciato dall’impalcatura del cantiere. L’autopsia ha stabilito che “le lesioni sono compatibili con una precipitazione dall’alto, e comunque compatibili con l’altezza dell’edificio in costruzione alla base del quale era stato rinvenuto il cadavere”.

Le simulazioni della caduta dal cantiere effettuate il 16 ottobre del 2020

Per quanto riguarda la moglie, “in seguito ai rilevanti segni di disturbo manifestati”, scrive il pm, “la donna ricorreva alle cure dei sanitari che l’avevano sottoposta a ricovero nel reparto di Psichiatria fino al 12 luglio”. Diagnosi: “Reazione dissociativa non specificata; intossicazione acuta da cannabinoidi in abuso di cannabinoidi”. Il pm ha ritenuto “ampiamente attendibili” le dichiarazioni rese dalla donna nel secondo interrogatorio, quello successivo alle dimissioni dall’ospedale di Crema.

Al caso hanno lavorato il biologo Pasquale Linarello, perito del giudice insieme a Oscar Ghizzoni, specializzato nei settori di tossicologia, esplosivi, infiammabili, balistica, dattiloscopia; il consulente della procura Roberto Giuffrida, responsabile della polizia scientifica di Milano; gli esperti nominati dagli avvocati Antonino Andronico e Gian Luigi Tizzoni: Luciano Garofano, biologo, e Marzio Capra, genetista. Per l’avvocato Mario Palmieri, legale della moglie di Pamiro, l’esperto Andrea Piccinini, responsabile del laboratorio di genetica forense dell’istituto di medicina legale di Milano.

Ora il giudice dovrà decidere se mettere definitivamente la parola fine al caso, oppure disporre altre verifiche.

Sara Pizzorni

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