Fabio Moreni ucciso 30 anni fa in
Bosnia. "Fu un crimine di guerra"
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Sono passati 30 anni dall’uccisione del cremonese Fabio Moreni, assassinato a 39 anni il 29 maggio 1993 sulla strada per Gorni Vakuf mentre trasportava aiuti umanitari alle popolazioni bosniache afflitte dalla tremenda guerra dei Balcani. Fabio fu ucciso insieme ai bresciani Guido Puletti e Sergio Lana, mentre altri due volontari, i bresciani Cristian Penocchio e Agostino Zanotti, riuscirono a fuggire nei boschi, scampati ad una vera e propria esecuzione, compiuta in una zona disabitata e boschiva, mediante l’esplosione di numerosi colpi di mitragliatore ed altre armi automatiche.
Di quelle morti è responsabile Hanefija Prijic, detto ‘Paraga’, l’ex comandante delle milizie paramilitari bosniache nei cui confronti la Corte di Cassazione, l’11 maggio del 2018, aveva confermato la sentenza a vent’anni di reclusione emessa il 29 settembre dell’anno precedente dalla Corte d’Assise d’Appello di Brescia. In primo grado, l’imputato era stato condannato all’ergastolo, poi in Appello la pena era stata ridotta. In patria, per gli stessi reati, l’ex comandante bosniaco era stato condannato ad una pena di 13 anni già scontati. Paraga, dunque, tra gli anni già scontati tra la Bosnia e l’Italia e grazie all’indulto e alla scarcerazione anticipata, era stato rimesso in libertà alla fine di agosto del 2018.
L’ex comandante era stato arrestato in Germania e poi estradato in Italia. Diversi i reati di cui doveva rispondere: omicidio in concorso con persone non identificate, tentato omicidio con l’aggravante di aver diretto quanto accaduto, rapina e sequestro di persona. Difeso dall’avvocato Chantal Frigerio, si è sempre proclamato innocente.
Agli inquirenti aveva confermato che i suoi uomini avevano effettivamente fermato il convoglio dei volontari che trasportava cibo e medicine. Il mezzo era stato controllato per vedere cosa contenesse, dopodichè i cinque erano stati trattenuti e fatti salire su un carro. Improvvisamente c’erano stati degli spari, ma su questo punto il comandante era stato vago, dicendo che non si era accorto di chi aveva cominciato a sparare. Secondo l’accusa, però, la fucilazione non sarebbe stata possibile senza l’ordine diretto dello stesso Paraga.
Era stato proprio Moreni il primo ad intuire le intenzioni di due soldati ai quali il capo aveva detto qualcosa. Ai compagni, aveva gridato: ‘Qui ci ammazzano tutti’. Quindi uno dei militari aveva armato il mitra. Gli italiani avevano tentato la fuga, ma poi entrambi i soldati avevano fatto fuoco, colpendo ripetutamente Puletti, Lana e Moreni.
Secondo i giudici della Cassazione, quello commesso ai danni dei tre volontari fu un vero e proprio “crimine di guerra”.
La vita di Fabio Moreni fu caratterizzata da un inarrestabile cammino di fede, che lo spinse a recarsi nella Bosnia allora segnata dalla guerra, da volontario, percorrendo un paio di volte al mese tra le 20 e le 25 ore di tragitto, pur di portare personalmente alla povera gente viveri, indumenti e medicinali. La sua testimonianza forte, la profonda fede ed il suo senso di altruismo, vengono oggi portati avanti dalla Fondazione, che al suo esempio si ispira e che da lui prende il nome.
Sara Pizzorni