Cronaca

La contagiò con l'Hiv: "Condotta
di totale sprezzo della salute"

La motivazione della condanna:
per i giudici, l'imputato "non ha in alcun modo
manifestato alcun sintomo di pentimento"

“Provata”, nel processo, la responsabilità dell’imputato, “consistita nell’aver intrattenuto rapporti sessuali non protetti con la compagna, tacendole la positività al virus dell’Hiv a lui ben nota”, e provato “il nesso causale tra tale condotta e la trasmissione del virus alla donna, la quale non avrebbe potuto contrarre la malattia in occasioni diverse dalla relazione con l’imputato”.

Lo scrivono i giudici nel motivare la sentenza con la quale il 28 marzo scorso un operaio di 52 anni di Cremona è stato condannato a otto anni di reclusione per le accuse di lesioni personali gravissime. “Accertata”, si legge nelle 14 pagine di motivazione, “la piena compatibilità della condotta tenuta dall’imputato come causa della trasmissione della malattia”, così come “non vi sono elementi concreti che possano sostenere una concreta ipotesi alternativa, non essendo in alcun modo dimostrata l’esistenza di qualsivoglia altra fonte di contagio diversa da quella per via sessuale”.

L’avvocato Vezzoni

Quanto poi alla personalità e alle pregresse esperienze del 52enne, i giudici fanno notare che l’uomo “era affetto da Hiv nel 2010 e aveva assunto regolarmente farmaci da maggio 2012 a febbraio 2017: aveva pertanto esperienza e consapevolezza della propria malattia fin da sei anni prima dell’inizio della relazione con la vittima, nonchè, conseguentemente, delle cautele da adottare. Nemmeno appare un caso che le altre persone con cui lui ebbe rapporti sessuali prima, o fino al 2016, non si ammalarono. Non contrassero la malattia perchè le cure a cui all’epoca lui si sottoponeva avevano azzerato la sua carica virale. E se taluna di queste persone non fu informata della patologia, quantomeno vennero tutte preservate da essa. Ben diverso fu il comportamento che l’imputato decise di riservare alla compagna convivente, non adottando alcun tipo di cautela nei suoi confronti, celandole la patologia ed esponendola così ad un contagio pressochè certo”. “Una condotta”, la sua, “lungamente protratta, fondata su una piena comprensione dei fatti, deliberata e agita in totale sprezzo della salute e dell’incolumità altrui”.

Tutto questo, secondo i giudici, “consente di ravvisare il dolo eventuale”, in quanto l’uomo, “non solo aveva previsto l’evento, ma lo aveva anche indirettamente voluto. Non era certo una persona priva di mezzi intellettivi e ignara della malattia e delle forme di trasmissione: per ben dieci anni si premurò che nè il proprio medico di base, nè i familiari, nè terzi con cui venne a contatto venissero a conoscenza della sua patologia, manifestando così una chiara volontà di occultamento della stessa”.

Per il tribunale, “non sussistono elementi che consentano di riconoscere le circostanze attenuanti generiche all’imputato”, il quale, ancorché incensurato, “non ha in alcun modo manifestato, nel corso del processo o in epoca antecedente, alcun sintomo di pentimento e, non sottoponendosi a esame, non ha peraltro inteso offrire la propria versione dei fatti”.

In relazione alla vittima, i giudici hanno considerato le sue parole “del tutto affidabili, intrinsecamente ed estrinsecamente”, parole che “hanno trovato pieno riscontro negli elementi probatori acquisiti”. “Nel corso della sua deposizione”, ha sottolineato il collegio dei magistrati, “la donna è apparsa molto provata, e, anche per una profonda sofferenza patita, ha tenuto un contegno composto e rispettoso nei confronti di tutte le parti processuali, privo di gratuiti antagonismi verso l’imputato, ma animato dalla volontà di ottenere, per quanto possibile, legittimo ristoro”.

Come risarcimento danni alla parte civile, rappresentata dall’avvocato Alessandro Vezzoni, è stata disposta una provvisionale di 100.000 euro, mentre il resto da liquidarsi in un separato giudizio civile”.

Sara Pizzorni

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