Cultura

"Mercoledì provinciali": chiusura
con gli eventi estremi del Po

Il Po gelato e le donne che ballano sopra il ghiaccio; vigne bruciate e alberi da frutto morti per la siccità; il Po in piena che frantuma argini e invade campagne, case, aziende, e a volte uccide. Gli eventi estremi del Grande Fiume, questi gli argomenti trattati nella sala del Consiglio nell’incontro conclusivo dei ‘Mercoledì provinciali’, organizzati in collaborazione tra Provincia e Adafa. Dieci appuntamenti che hanno trattato argomenti di storia locale, dialetto, arte, storia della medicina, gastronomia scomodando il Platina. Incontri che hanno avuto anche un’attenzione alla territorialità: cremasca, casalasca e cremonese.

Il ciclo di conferenze lo ha chiuso Fulvio Stumpo, presidente dell’Adafa (presentato dal vice Giovanni Fasani) che prima ha ringraziato il presidente Mirco Signoroni e tutta la Provincia per la collaborazione e l’assistenza fornita. Poi, di fronte a un folto pubblico, ha iniziato a raccontare del Po partendo dalle grandi gelate medievali segnalate dalle fonti: muoiono uomini e donne, ma il ghiaccio spinge anche a qualcosa di giocoso e allora che ecco le donne ballano sul Po ghiacciato o che «le gentildonne facevano andare i cocchi», oppure i cavalieri che «giostravano i loro tornei». Il fiume gelato diventava anche un’opportunità: i mercanti lo attraversano con i carri carichi, i cavalli risalgono da Ferrara carichi di pesce, come nella più grande gelata della storia, quella del 1709.

Stumpo poi ha ricordato che «le siccità passano a volte sotto silenzio, sono meno ‘spettacolari’ di piene o gelate, eppure sono disastrose, come quella ricordata da Antonio Campi che ci fa sapere che nel 1540 i fiumi ‘restarono senza acqua, e le biade vennero raccolte prima per non farle bruciare, oppure quelle del Seicento, culminate con quella che coincide con la peste manzoniana del 1629-30, che non a caso si conclude con un grande acquazzone purificatore».

Infine ecco l’evento che porta migliaia di cremonesi a precipitarsi sul Po per guardarlo stupiti e forse anche ammirati (chi non abita o lavora in golena): la piena. Il presidente Adafa ha iniziato dall’antichità citando i versi potenti di Virgilio e di Ennodio che immortalano le piene, per poi arrivare agli alluvioni che hanno lasciato tracce visibili nel paesaggio, della storia e anche nel sociale. Come la rotta della Cucca del 689 che ha modificato l’assetto idrogeologico della Padania, portando, secondo alcuni studiosi, la foce dell’Adda fino a Viadana, o quella di Ficarolo che divide il Po in tre rami e inghiotte alcuni fiumi del Polesine, o quella descritta da Campi che racconta la caduta delle mura tra Porta Po e Porta Mosa.

Stumpo si è poi soffermato sulle piene recenti: quella del 1951, del 1994 e del 2000. Il relatore, però, ha spiegato che a suo parere la più devastante di tutti i tempi è stata quella del 1705: «Il Po era più vicino alla città, ma le mura e gli argini c’erano, contrariamente a quanto si pensi, erano alti e forti: solo che in quei giorni di ottobre-novembre il fiume cresce così tanto che le mura vengono semplicemente scavalcate o abbattute, Porta Po scardinata, il ponte di barche distrutto e la piena arriva fino a via XX Settembre, in via Mercatello, via Platina, e che i rigurgiti della Cremonella, Morbasco, Cavo Cerca e degli altri canali cittadini invadono tutta la città, fino a via Palestro, via Aselli, via Goito.

E il consiglio comunale altro non può fare che ‘raccomandarsi alli santi protettori’ e ordinare processioni che non si possono celebrare perché la città e sott’acqua». Il relatore ha concluso con una riflessione: «L’asse padano è una complessità di eventi estremi, di magnifiche città, di dialetti, storie e storia, di genti che si sentono accomunati dal fiume da Torino al Delta, eppure il destino (meglio la linguistica), ha riassunto questa complessità in una sillaba: Po».

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