Contagiò la partner con l'Hiv.
Cremonese condannato a 8 anni
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Non ha detto alla fidanzata di essere affetto da Hiv e l’ha contagiata. Con l’accusa di lesioni personali gravissime, il collegio dei giudici presieduto da Francesco Beraglia con a latere Chiara Tagliaferri ed Elena Bolduri ha condannato a otto anni di reclusione un 52enne operaio cremonese. Come risarcimento danni è stata disposta una provvisionale di 100.000 euro a favore della parte civile, mentre il resto da liquidarsi in un separato giudizio civile. Per l’imputato, il pm Alessio Dinoi aveva chiesto una pena di sei anni, senza la sospensione condizionale della pena. La motivazione della sentenza sarà depositata entro 45 giorni. Nel processo, l’ex fidanzata, 50 anni, era parte civile attraverso l’avvocato Alessandro Vezzoni, mentre l’imputato, che non si è mai presentato in udienza, era assistito dall’avvocato Marilena Gigliotti.
Affetto da Hiv, per un periodo di tempo il cremonese non si era sottoposto alle cure e non aveva assunto i farmaci. Un comportamento che secondo l’accusa aveva favorito la trasmissione del virus alla sua fidanzata, ignara di tutto. Dopo quattro anni di relazione stabile, dal 2016 al 2020, e un anno di convivenza, la donna aveva scoperto per caso il 20 febbraio del 2020 il segreto del compagno, quando lo aveva accompagnato al pronto soccorso in seguito ad un incidente stradale. Leggendo i referti medici, era venuta a conoscenza che lui si era dichiarato affetto da Hiv. Il 27 febbraio del 2020 l’esito dei test aveva rivelato che anche lei aveva contratto la malattia.
Di “malattia insanabile” ha parlato il pm, che nella sua requisitoria ha sottolineato il fatto che l’imputato aveva taciuto a tutti la sua condizione. “Non lo sapevano neppure la ex moglie e il medico di base, e neppure le altre persone con cui il 52enne aveva avuto rapporti occasionali, uomini e donne”. Nessuno, per fortuna, era stato contagiato, ma poi l’uomo per più di un anno e mezzo non aveva più assunto la terapia o lo aveva fatto in maniera scorretta. Per il pm, una “condotta dolosa” che ha denotato “un assoluto disinteresse nei confronti della salute altrui”.
Di quanto ha dovuto patire la vittima, sia da un punto di vista fisico che psicologico, ha parlato l’avvocato di parte civile Alessandro Vezzoni, che ha ricordato che la sua cliente è costretta a prendere farmaci per tutta la vita, a sottoporsi ad esami invasivi e a seguire una terapia psicologica. “Da febbraio del 2020”, ha detto il legale, “la sua vita è cambiata. Vive nella paura di stare in mezzo alla gente”.
L’avvocato della difesa Gigliotti ha invece parlato di mancata intenzionalità da parte dell’imputato di creare un danno alla fidanzata. “Non solo non c’era la volontà”, ha detto il legale, “ma quando è venuto a sapere che lei era stata contagiata, si è scusato. Si parla di una persona sprovveduta, priva di mezzi, non c’è stata da parte sua una pianificazione, non c’era la consapevolezza del rischio”. Nella sua arringa, l’avvocato Gigliotti ha anche sottolineato il fatto che nell’ultimo periodo i rapporti tra i due erano andati scemando, e si è riferita all’ultimo referto del 2019 in cui la carica virale di lui era pari a zero. “Non c’è alcuna evidenza scientifica che dimostri quale fosse la carica virale da agosto del 2019 a maggio del 2020”. E sulla mancata presenza in aula e sul mancato esame dell’imputato davanti ai giudici, l’avvocato Gigliotti ha spiegato: “Il mio assistito ha mantenuto un riserbo anche giustificabile: solo calandosi nei panni, si possono capire certi meccanismi umani: la vergogna”.
Secondo quanto emerso dalla documentazione medica, la prima evidenza di positività al virus dell’imputato risale all’8 maggio del 2010. L’uomo era stato preso in carico dal reparto Infettivi dell’ospedale di Piacenza e iniziato la terapia il 25 maggio del 2012 con controlli regolari e con assunzione dei farmaci. La sua era una terapia che avrebbe dovuto essere costante e somministrata a vita. Dal febbraio-marzo del 2017, però, non c’erano più evidenze di controlli e di visite. Secondo gli esperti che erano stati sentiti in aula, “la mancata costanza nella somministrazione delle cure ha avuto l’effetto di aver dato libero accesso al virus. Senza farmaci, a distanza di 3/6 mesi si ritorna ad essere contagiosi.
Con la sua fidanzata, l’uomo si era giustificato dicendo di non aver mai trovato il momento giusto per l’affrontare l’argomento, temendo di perderla.
I rapporti di coppia si erano poi chiusi e la donna aveva iniziato a sottoporsi alle cure per arginare le conseguenze del virus: “ogni 24 ore devo prendere una pastiglia”, aveva raccontato lei, “ogni sei mesi devo fare gli esami del sangue e ho una psicologa che mi segue. Non ho più avuto relazioni perchè non mi fido più di nessuno e non mi va nemmeno di dire ciò che è successo. Lui mi ha rovinato la vita”.
Sara Pizzorni