Cronaca

Circonvenzione di incapace, coppia
assolta: "Non ci fu alcun profitto"

Sono stati assolti oggi pomeriggio con formula piena i due coniugi, lui 59 anni, lei 49, finiti a processo con l’accusa di circonvenzione di incapace per aver abusato dello stato di infermità psichica di due sorelle di 73 e 71 anni, inducendole a cointestare alla 49enne il libretto di deposito dove erano state accreditate le loro pensioni di invalidità: 791 euro mensili per ciascuna. Così facendo, secondo la procura, i due imputati, dal 2014 all’aprile del 2018 a Montodine, si sarebbero appropriati della somma complessiva di 134.334 euro. Il pm aveva chiesto per ciascuno la pena di un anno, 4 mesi e 300 euro di multa, sostenendo che il denaro non era stato utilizzato per accudire le due sorelle, e insistendo sullo scenario di estremo degrado in cui vivevano non solo le due anziane, ma anche gli stessi imputati.

Gli avvocati Guerreschi e Pugnoli

E’ vero che la casa era in stato di abbandono, è vero che la famiglia viveva nel degrado. Lo hanno ammesso anche gli avvocati della difesa Cristina Pugnoli ed Elena Guerreschi, che però, dopo aver premesso che “la circonvenzione di incapace è un reato contro il patrimonio e non contro la persona”, hanno spiegato, come già lo avevano fatto nella scorsa udienza i loro clienti, che “c’era una condizione familiare di grave fragilità resa ancora più complicata da una serie di lutti e che mai è stata presa in carico dalle istituzioni”. “Una situazione familiare grave”, hanno detto i due legali della difesa, “che gli imputati hanno ricostruito davanti al giudice in modo preciso, puntuale e non reticente. Loro stessi hanno ammesso che le due sorelle avevano bisogno di assistenza. E invece si sono trovati loro a farsi carico di quello che hanno considerato un dovere familiare. Senza alcun dolo o profitto. Quei soldi non sono stati usati per fare la bella vita, ma sono stati spesi per la famiglia. Gli stessi imputati avrebbero avuto bisogno di un sostegno. La loro, con le due sorelle, è stata una gestione casalinga. Hanno fatto ciò che hanno potuto fare a fronte delle difficoltà che hanno dovuto affrontare”.

Le due anziane sorelle erano le nipoti della zia del 59enne. Era lei, insieme al papà dell’imputato, ad occuparsi del loro denaro e delle loro cure, ma quando entrambi si erano ammalati, alla coppia era stato chiesto di subentrare nella cura e nella gestione economica delle due sorelle. Il passaggio di consegne sui prelievi era avvenuto tra la zia, pochi mesi prima che morisse, e l’imputata, “alla presenza del vigile di Montodine”.

Nel 2013 marito e moglie si erano quindi trasferiti a vivere con le due anziane e con il fratello disabile dell’imputato, poi deceduto nel 2015. Una delle due sorelle è invece scomparsa lo scorso anno.

“Io stavo a casa perchè avevano bisogno di assistenza 24 ore su 24”, aveva raccontato il 59enne, mentre mia moglie lavorava. “Lavoravo a chiamata”, aveva spiegato l’imputata, “avevo fatto un corso per fare la necrofora. Quando le agenzie funebri avevano bisogno, mi chiamavano, ma era un’occupazione saltuaria”. “Non ho obbligato nessuno ad avere cointestato il libretto di deposito”, aveva dichiarato la 49enne. “Quei soldi sono semplicemente serviti per pagare le spese: le bollette, la luce, il gas e l’affitto”.

“Negli anni ho bussato a parecchie porte”, aveva continuato a raccontare l’imputata: “Io e mio marito abbiamo chiesto il ricovero per le “ragazze”, ma i prezzi nelle strutture erano altissimi, abbiamo chiesto a vari ospedali, abbiamo chiesto aiuto agli assistenti sociali, il Comune sapeva di questa situazione di fragilità. Nessuno ci ha mai dato una mano”. “C’erano momenti che era moto grigia andare avanti”, aveva detto a sua volta il marito. “L’ultimo mese non ce la facevamo più e ci hanno tolto il gas”. La coppia aveva raccontato di aver dormito anche in aeroporto nel periodo del Covid e di essere anche stata ospitata alla Caritas.

La denuncia per circonvenzione di incapace era partita d’ufficio dopo la segnalazione di un vicino di casa che aveva sentito dei cattivi odori provenire dall’appartamento di Montodine. In quell’occasione, sindaco e assistenti sociali avevano trovato una situazione di grave abbandono. “La famiglia, però, viveva lì da anni”, ha rilanciato l’avvocato Guerreschi. “E’ strano che nessuno sapesse cosa stava succedendo in quella casa, probabilmente non era una situazione così allarmante, almeno fino all’ultimo periodo, quando l’imputata non è più riuscita a lavorare”. Il legale ha infine sottolineato che le due sorelle “erano pazienti psichiatriche fin da bambine, ma evidentemente, a livello di assistenza, la loro storia si è persa per strada”.

Alla lettura della sentenza erano presenti entrambi gli imputati. “Oggi è stata fatta giustizia”, hanno commentato, soddisfatti, gli avvocati Pugnoli e Guerreschi.

Sara Pizzorni

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