Spettacolo

"Il Gabbiano" di Cechov
al Ponchielli il 22 marzo

Un dramma delle illusioni perdute, che è lo specchio del disagio esistenziale di un’umanità fin de siècle, sospesa tra arte e vita: scritto da Anton Čechov nel 1895, Il Gabbiano andrà in scena al Teatro Ponchielli mercoledì 22 marzo (ore 20.30). Alla sua prima rappresntazione, fu un fiasco clamoroso: la poesia racchiusa nel testo, quel suo mondo di amori non corrisposti e illusioni passate non vennero compresi.

Leonardo Lidi, che ha curato la regia, ha saputo imporsi sulla scena teatrale italiana con versioni potenti e originali di grandi autori classici e con questo testo, per la prima volta il regista dirige un testo del grande drammaturgo russo “Per ricominciare a camminare in questo tempo così incerto credo che il teatro sia un ottimo progetto sul quale focalizzare le nostre energie” evidenzia il regista. “Se penso ad Anton Čechov mi torna in mente questo passaggio di John Lennon nella canzone Beautiful Boy: “La vita è ciò che ti accade mentre fai altri progetti”.

Ne Il gabbiano l’autore sembra creare un testo che possa interrogarsi sulla differenza tra Simbolismo e Realismo, sul senso critico del teatro rispetto al suo pubblico ma alla fine – contro ogni pronostico – arriva la vita. “In scena ecco apparire l’amore e l’assenza di esso e ci ritroviamo accompagnati da personaggi talmente ben scritti e messi così bene in relazione tra di loro che tutti insieme decidiamo di deviare la trappola del Tema per aprirci e interrogarci sulla semplicità del nostro essere” continua Lidi. “Sui ricordi e la nostalgia dell’infanzia, su quell’incontro che ci ha fatto male e quell’incontro che ci ha cambiato la vita. O fatto sorridere. O fatto piangere.

Come in un patto. Come se un gruppo di uomini e di donne lavorasse assieme con impegno e gioia confidando nell’arrivo della vita in scena. Ecco forse spiegato il perché Čechov ha superato il suo tempo, ecco come utilizzare un testo per arrivare alla vita. Ho scelto una trilogia che lavora con lo stesso alfabeto: Il gabbiano – Zio Vanja – Il giardino dei ciliegi. Tre case, o forse la stessa, tre famiglie, o forse la stessa, e l’amore che soppianta il lavoro. Mentre aspettiamo di sapere qual è il Teatro giusto per parlare allo spettatore o se venderemo la casa di Vanja o se verrà distrutto il nostro storico Giardino, noi aspettiamo e incontriamo la vita attraverso l’amore. Aspettiamo un bacio.

In questa trilogia vedo la possibilità di tornare al senso pratico del teatro, deviando gli intellettualismi e scegliendo la semplicità nella sua altezza. Scegliendo uno spazio. Scegliendo l’empatia e non una bolla elitaria. Scegliendo l’amore e il dolore che comporta questa opzione ma soprattutto scegliendo gli attori come forma d’arte e come pietra preziosa da difendere nel teatro italiano del nostro tempo”.

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