Cultura

5 marzo '53, la morte di Stalin
Le opposte reazioni a Cremona

La notizia della scomparsa di Giuseppe Stalin, ufficializzata alle ore 21,50 del 5 marzo 1953, finiva immediatamente per essere trasmessa in ogni angolo del pianeta; le voci che da giorni filtravano da Mosca circa il malore che aveva colpito il potente leader sovietico nei giorni precedenti, trovavano pertanto l’esito più nefasto per tutti coloro che nel mondo guardavano all’Unione Sovietica come Paese guida del socialismo. L’alone di mistero sulla breve malattia che aveva cagionato la rapida dipartita di Stalin, non è mai stato dissipato completamente nonostante le fonti ufficiali, suffragate da perizie scientifiche, rimanevano già all’epoca ancorate alla versione dell’ictus emorragico all’emisfero sinistro del cervello.
Il malore era intervenuto mentre Stalin si trovava nella sua dacia di Kuntsevo, località nelle vicinanze di Mosca, dove era solito ritirarsi quando era libero da impegni istituzionali. Il ritardo con cui si approntarono i soccorsi alimentarono anche voci su un presunto avvelenamento operato fra i più stretti collaboratori che temevano di finire in disgrazia agli occhi del potente e spesso spietato leader comunista.
La sua morte ovviamente chiudeva una trentennale esperienza politica che aveva proiettato Stalin tra i grandi attori della politica mondiale; il suo venir meno apriva nuovi scenari che tutte le capitali del mondo erano in attesa di poter decifrare. In tanti Paesi la fine del mito dell’uomo d’acciaio che aveva guidato la riscossa dell’idea comunista, provocava un’ondata di costernazione e profonda emozione; per altri invece era semplicemente terminata una parentesi di terrore che aveva caratterizzato tutto l’agire politico di Stalin.
La comunicazione del suo decesso provocava una profonda ondata di commozione anche fra i sostenitori cremonesi del leader russo. Sulla pagina locale del quotidiano comunista l’Unità del 6 marzo si sottolineava come

“… la luttuosa notizia della morte di Stalin è stata accolta con grande dolore dalla cittadinanza cremonese. Gli operai delle fabbriche e i lavoratori delle campagne hanno esternato il proprio cordoglio inviando telegrammi e lettere all’ambasciata russa. Comunisti e lavoratori cremonesi in questa ora di gravissimo dolore inchinano le loro bandiere dinnanzi al costruttore della società socialista e strenuo difensore della pace. A nome del popolo cremonese esprimono profondo cordoglio al partito Comunista dell’Unione Sovietica e glorioso popolo sovietico”.

La  federazione comunista di Cremona, attraverso la commissione propaganda, inoltrava richiesta alla Questura di poter adeguatamente onorare la memoria del “Grande scomparso Giuseppe Stalin” allestendo nel corridoio interno della propria sede in piazza Roma 23, una raccolta degli scritti e delle opere del leader sovietico. Accanto al suo ritratto (3 metri per 2) si sarebbero collocati anche i ritratti dei principali protagonisti della storia del socialismo mondiale. In tal modo i cittadini avrebbero potuto omaggiare la figura del capo carismatico del comunismo mondiale apponendo una firma in calce alle sottoscrizioni da inviare nella capitale russa.

La morte di Stalin veniva accolta con sostanziale rispetto da parte dell’opinione pubblica cremonese; ovviamente con diversi accenti e distinguo a seconda dell’appartenenza politica dei soggetti in campo. Anche da acerrimo nemico, la figura di Stalin incuteva un ossequio riservato ai grandi protagonisti della storia. A discostarsi da tale indirizzo, qualche affilata punta di acrimonia espressa, ad esempio, dal giornale cattolico “L’Italia”, il quale a proposito del “Lutto Rosso” affermava che

“…è risaputo che i compagni quando sono in lutto non vestono più il reazionario color nero ma si mettono il color rosso, il colore del vino per omaggiare il Piccolo padre”.

La notizia della morte di Stalin veniva accolta con profondo cordoglio anche in ambito cremasco. La stampa “rossa” riportava come, per rispetto, fossero abbrunate le bandiere di partito e affissi manifesti murali per ricordare l’opera del “capo amato dai lavoratori di tutto il mondo”. In diversi impianti industriali si erano verificate simboliche sospensioni delle attività lavorative in segno di rispetto per la ferale scomparsa; tanto a Crema come in numerosi centri del circondario si organizzavano assemblee dove esponenti del Pci e del partito Socialista tratteggiavano il profilo del leader.

La scomparsa di Stalin veniva seguita ovviamente con grande attenzione da parte della Questura e della Prefettura. Il questore D’Alessandro si premuniva, già nella giornata del 6 marzo, di attivare una capillare azione di controllo atta a prevenire forme di manifestazioni spontanee non concordate con le autorità. Nel “mattinale” del giorno seguente veniva segnalato che nel capoluogo non si erano verificate situazioni anomale, tanto che l’ordine pubblico si era mantenuto normale. Le preoccupazioni delle autorità erano indirizzate soprattutto a garantire un regolare svolgimento delle attività lavorative in occasione  dei funerali di Stalin, previsti per le 10 del 9 marzo.

A quell’ora, simbolicamente, tutti i lavoratori erano invitati a porsi in raccoglimento in una sorta di condivisione a distanza con l’evento che si stava svolgendo nel Paese russo. L’astensione temporanea dal lavoro non doveva però inficiare la libertà di coloro che, appartenenti ad altre ideologie, non intendessero aderire a questa forma di partecipazione collettiva.

L’adesione a questa partecipazione “laica”, trovava diverso dispiego nelle diverse realtà produttive monitorate con discrezione dagli apparati di polizia. In alcuni stabilimenti la sospensione temporanea del lavoro aveva trovato ampio seguito, mentre in altri si era mantenuta in termini più contenuti. Si stimava che, in media, circa la metà della forza produttiva sotto osservazione avesse aderito all’invito delle organizzazioni di sinistra. Nei rapporti trasmessi alla Prefettura si segnalava che “nessun attentato era stato portato alla libertà del lavoro”.

Altro fronte di attenzione erano le scuole cittadine. Anche in questo caso non doveva essere impedito l’accesso a quegli studenti che non volessero astenersi dalle lezioni e comunque nessuna criticità veniva rimarcata.

In ambito politico una comunicazione, riservata e urgentissima, indirizzata al dirigente dell’Ufficio Politico, comunicava che, stante quanto pubblicato sul quotidiano comunista, si doveva attivare per la sera del 9 un attento servizio di vigilanza nelle sedi del partito dove erano previste commemorazioni del defunto leader: i due luoghi interessati erano la federazione cittadina e i locali della cooperativa Boldori di via Francesco Soldi. Scopo del presidio era controllare l’eventuale sviluppo di cortei o altre manifestazioni non autorizzate dalla Questura, tanto che in caserma, pronte per un eventuale impiego, dovevano stazionare due squadre del reparto celere; in realtà poi in entrambe le situazioni tutto si svolgeva secondo quanto previsto con la sola presenza delle persone invitate agli eventi.

Nella sede cremonese si segnalava, fra gli altri, la partecipazione di Guido Percudani, Guido Uggeri, Bruna Panizzari, Franco Dolci e Dirce Donnini. L’on. Guido Miglioli aveva anch’esso dichuarato la propria disponibilità a presenziare alla riunione indetta presso la federazione comunista in segno di solidarietà.

Oltre alle sezioni di partito, anche nella Camera del Lavoro, allora in via Palestro, si era allestito un banchetto, con annesso ritratto di Stalin, per raccogliere le firme dei lavoratori cremonesi.

La vigilanza delle Autorità non si limitava solo ai centri principali, ma si estendeva a tutto il territorio provinciale. La Compagnia interna dei carabinieri di Cremona informava infatti la Prefettura che nella notte tra il 9 e il 10 a Vescovato erano stati distribuiti da individui non ancora identificati, dei manifestini riconducibili alla sezione comunista di Vescovato – Montanara. Sotto la dicitura “Stalin è morto” si rimarcava, tra l’altro come

“la sua opera e il suo esempio vivono immortali, egli ci lascia uno strumento invincibile: il partito comunista, per portare avanti la bandiera della libertà, dell’indipendenza e della pace e del Socialismo, che già sventola vittoriosa su una terza parte del Mondo. Gloria eterna a Stalin”.

La tensione e la commozione che già aleggiavano in ambito cremonese venivano ulteriormente accentate dalle agitazioni che, in quei giorni, attraversavano le campagne per le manifestazioni indette per alcune rivendicazioni salariali reclamate dalle organizzazioni sindacali per i salariati agricoli. In aggiunta, in clima si arroventava anche per dimostrazioni, indette dai partiti di Sinistra, contro l’iter parlamentare di revisione della legge elettorale che avrebbe comportato un meccanismo premiante per la coalizione in grado di superare la metà dei voti validi (la cosiddetta Legge truffa).

In occasione del trigesimo della morte di Stalin, la locale federazione comunista, per mano di Dirce Donnini, richiedeva l’autorizzazione per poter esporre un cartello celebrativo da collocare sul portale della sede con la seguente scritta: “Nel trigesimo della morte del Grande Stalin, uniamoci per il trionfo della pace”. Dopo pochi giorni la scritta che campeggiava ben in vista veniva rimossa, su indicazione dei funzionari della Questura, con l’intervento dei Vigili del Fuoco fra lo sconcerto dei militanti comunisti.

L’esposizione di effigi e cartelli raffiguranti l’immagine di Stalin in occasione della Settimana santa non risultava ben gradita al giornale “L’Italia”; la concomitante celebrazione appariva, agli occhi del foglio cattolico, come un gesto irriverente e stonato che accomunava due situazioni di impari livello. La pungente penna della stampa cattolica mal digeriva che venisse sacralizzata la figura del capo dei Soviet come una sorta di nuovo Messia portatore e propugnatore di una fede redentrice per le masse di ogni parte del Mondo.

Nell’articolo, apparso all’inizio di aprile, si stigmatizzava come “i rossi hanno avuto l’infelice idea ieri, festa di Pasqua, di esporre nell’atrio delle Poste Vecchie un grande ritratto del defunto e non lacrimato Piccolo Padre (…) colui che fu contro Cristo e la sua Chiesa durante la sua vita e che passerà alla storia come un persecutore, s’è trovato così un’altra volta, non per propria volontà, a subire il confronto con Cristo. Ma in quale diversa posizione”.

Per commemorare la figura di Stalin veniva tra l’altro organizzata la proiezione, prevista per ben tre serate, del film “Giuramento” in cui si ricostruiva l’impegno politico di Stalin a favore del suo paese e della causa socialista. La richiesta di tale visione ospitata al cinema Ponchielli, era stata perorata da centinaia di cittadini cremonesi.

Fabrizio Superti

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