Omicidio Gloria: Ergastolo al
papà. La sentenza è definitiva
Per l'imputato, i giudici della
Corte di Cassazione hanno confermato
la sentenza all'ergastolo
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E’ arrivata la sentenza definitiva per Kouao Jacob Danho, il 40enne ivoriano che il 22 giugno del 2019 nella sua abitazione di via Massarotti a Cremona uccise la figlia Gloria, di soli due anni. I giudici della Corte di Cassazione hanno rigettato il ricorso della difesa e confermato la sentenza all’ergastolo emessa in Corte d’Assise d’Appello il 4 febbraio del 2022. Confermato anche dalla Suprema Corte il risarcimento danni di 100mila euro come provvisionale per la parte civile, rappresentata dall’avvocato Elena Pisati per Audrey Isabelle, la mamma di Gloria ed ex compagna di Danho.
L’omicidio si era consumato nell’appartamento di via Massarotti dove l’ivoriano, operaio alla Magic Pack di Gadesco, si era trasferito dal primo giugno del 2019, mentre l’ex compagna e la figlia erano ospiti di una casa protetta. Nella sua casa, Danho aveva accoltellato la figlia due volte, una al fegato e una ai polmoni. La piccola, come rivelato dai risultati dell’autopsia, si sarebbe potuta salvare se suo padre avesse chiamato subito i soccorsi. Il 40enne aveva confessato il delitto tempo dopo i fatti, mentre in un primo tempo aveva puntato il dito contro un fantomatico rapinatore.
“Il figlicidio”, aveva detto il procuratore generale di Brescia Marco Martani, “è stato attuato come forma di vendetta, una vendetta estrema”. La compagna dell’imputato lo aveva lasciato e con la bimba si era trasferita nella casa famiglia di via Bonomelli. Il fatto che lui avesse percosso la ex compagna provocandole la lesione di un timpano, il fatto che fosse possessivo e che le avesse taciuto di avere un’altra famiglia in Africa, avevano convinto la donna a dire basta. “E lui”, aveva aggiunto il procuratore generale, “ha ucciso la loro bambina con assenza di scrupoli morali e con un fondo di malvagità fuori dal comune”.
Era “lucido”, Danho, che aveva tirato in ballo il fatto di essere rimasto vittima di un maleficio da parte della compagna e della madre, con cui non aveva buoni rapporti. Per la difesa, rappresentata dall’avvocato Daniele Sussman Steinberg, del Foro di Milano, la magia era la prova di un vizio parziale di mente.
“Audrey, vivi senza di noi…”, la frase contenuta nel manoscritto trovato in casa dell’imputato, secondo i giudici “non può, di per sè, essere indice di premeditazione”. Non adeguatamente provato, anche per la Cassazione, “che tale lettera sia stata scritta in un tempo apprezzabilmente antecedente l’attuazione dell’ignobile gesto criminoso, sì da rimandare ad un previo e programmato concepimento ideativo del delitto. La lettera vale a confessare l’omicidio e ne spiega i motivi, ma non attesta di per sè la premeditazione del gesto, circostanza che rimane da provare oltre ogni ragionevole dubbio”.
“Nella tragicità degli eventi”, ha commentato l’avvocato Pisati, “c’è soddisfazione perchè l’impianto accusatorio ha retto. Non sono state ritenute fondate le contestazioni della difesa sul vizio parziale di mente e sulla mancanza dell’aggravante dei motivi abietti”.
Sara Pizzorni