Giornata Malato, il vescovo sulla
fragilità della condizione umana
Sono stati dame e barellieri in divisa Unitalsi, insieme agli operatori della rsa ad accogliere nell’atrio della casa di riposo Zucchi Falcina di Soresina anziani e ammalati che dai reparti hanno raggiunto la sala dove si è svolta nella mattinata di sabato 11 febbraio la Messa della Giornata Mondiale del Malato, presieduta dal Vescovo Antonio Napolioni, dedicata a ospiti, famigliari e operatori che hanno occupato anche i posti oltre la soglia.
Dopo il messaggio di accoglienza rivolto dal direttore generale della struttura Donato Francesco Sigurtà e da Massimo Bariani, amministratore delegato del gruppo Gheron che dal 2014 gestisce la struttura soresinese, monsignor Napolioni ha salutato e ringraziato il parroco don Angelo Piccinelli, all’incaricato diocesano per la pastorale della Salute don Maurizio Lucini e ai volontari dell’Unitalsi che come ogni anno danno il loro contributo nell’organizzazione e nel servizio.
L’invito a stare «tutti seduti sempre» durante la Messa «in modo da non coprire la vista dell’altare a chi non può alzarsi» ha aperto la celebrazione. «Maria a Lourdes – ha quindi ricordato il Vescovo richiamando la memoria delle apparizioni – ha dato segno di speranza al mondo, non tanto a chi cerca la guarigione del corpo, ma la pace del cuore, la fiducia, la forza per lottare. Maria è qui».
L’immagine della grotta di Lourdes segno della speranza e della cura che nei momenti della fatica e del dolore scaturisce nella fraternità degli uomini, ha accompagnato la celebrazione, tornando anche nella riflessione che il vescovo ha proposto nella sua omelia.
«Perché questo dolore? Perché tanto dolore?». Dalla «domanda più difficile» inizia questa ricerca che riguarda tutta l’umanità, in molte forme diverse: «Non solo quando il corpo si ammala, ma anche quando vediamo la violenza che si scatena contro innocenti e bambini, quando nelle case o negli ospedali si rimane soli, alle prese con la fatica di vivere».
Napolioni, citando la riposta di Papa Francesco alla domanda sul dolore degli innocenti, riconosce che c’è un dolore che non ha risposta, ci sono situazioni «che sfidano anche la nostra perseveranza nella fede».
Ma – ha poi aggiunto commentando le Scrittura del giorno – «il dolore può non avere l’ultima parola. Cristo introduce una energia più grande di tutti i mali del mondo».
Un’energia che nasce dalla compassione che induce Gesù a moltiplicare pani e pesci, la stessa che ci fa accogliere le vite più fragili nelle nostre famiglie e nelle «locande» del nostro tempo: «Dopo duemila anni, la storia della compassione dei credenti per le membra più fragili dell’umanità ha portato tanti frutti – ha osservato – Quante strutture, quante associazioni, quanti medici e infermieri sono dei santi, i santi della porta accanto che invochiamo nel dolore e che con un sorriso, oltre ad acqua e medicine, rendono il dolore più sopportabile».
«Ricordiamoci – ha quindi concluso la sua riflessione monsignor Napolioni – che non è buona o cattiva sorte che ci fa malati o sani, ma è la fragilità della condizione umana, in cui però può fiorire il senso profondo della vita: volerci bene. Far bene il bene fa bene a chi riceve cure, ma fa bene anche a chi le offre. Dio ci aiuta a sopportare la fatica della vita e la riapre continuamente a una bellezza che nemmeno immaginiamo».
Prima della conclusione della Messa il vescovo, ha ricordato le apparizioni a Bernadette con l’omaggio e la preghiera ai piedi della statua della Nostra Signora di Lourdes.
Al termine della celebrazione i dirigenti della Zucchi Falcina hanno accompagnato monsignor Napolioni nella visita ai reparti e al nucleo Alzheimer per un saluto affettuoso agli ospiti e allo staff impegnato nell’assistenza al pranzo. Un pranzo reso speciale dalla presenza del gradito ospite, ma preparato con la stessa cura di sempre ai bisogni di ogni giorno.