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Riforme, Follini: “Retorica pubblica le reclama ma cambiare è un rischio”

(Adnkronos) – “Il governo conta di farsi nuovi amici, e nuovi meriti, con le riforme. Lodevole proposito, si dirà. Ma non è detto che imboccando questo percorso non si trovi invece a moltiplicare i suoi avversari. E soprattutto le sue difficoltà. 

Infatti ognuna delle medaglie che Meloni e i suoi cari vorrebbero appuntarsi sul petto ha un suo rovescio. L’autonomia differenziata delle regioni (cara più che altro a Salvini, a dire il vero) è vista con sospetto nei territori meridionali, anche quelli presidiati da Fratelli d’Italia. Il presidenzialismo è avversato fortissimamente dal Pd e da una parte assai rilevante dell’establishment istituzionale. E i cambiamenti in materia di giustizia sono vissuti con fastidio e sospetto da gran parte della magistratura. 

Ce n’è quanto basta per suggerire prudenza. Salvo il fatto che la prudenza non sembra essere la principale divisa di una maggioranza che ambirebbe ad essere apprezzata per le differenze che produce e non per le prudenze che coltiva. I vecchi democristiani ai loro tempi avrebbero suggerito di lasciar perdere la frenesia riformatrice, soprattutto in materia costituzionale, ma si sa che quegli appelli alla cautela che andavano di moda allora oggi appaiono quasi scandalosi, e quindi c’è da scommettere che il tema non scomparirà tanto facilmente. 

Dunque, si dovrà decidere cosa fare e come. E qui, però, diventano evidenti i rischi che la compagine di governo si troverà ad affrontare. Il federalismo a cui sta lavorando alacremente (fin troppo, forse) il ministro Calderoli riaccende i fuochi del contrasto tra regioni ricche e regioni povere e, più ampiamente, tra nord e sud. Potrà essere un buon argomento per la campagna elettorale del governatore lombardo Fontana. E magari placare anche certe ansie di protagonismo del leader leghista. Ma è evidente che nel mezzogiorno questa novità sarà apprezzata solo a patto di non squilibrare il sistema delle risorse. Che è, per l’appunto, proprio quelle che le regioni del nord si ripromettono di portare a casa. Sia pure con modi forbiti e parole rassicuranti. 

Quanto alla giustizia è bastato l’arresto di Matteo Messina Denaro per cambiare l’agenda in materia. Se fino a qualche giorno fa si trattava di mettere mano alle intercettazioni telefoniche e a qualche abuso in materia, oggi si è levato un po’ dappertutto un coro a favore del sistema vigente. Costringendo il governo e il ministro a una inevitabile correzione di rotta. Ora, è evidente che la riforma a cui si pensa è ben più ampia, e tale dovrebbe essere. Ma è almeno altrettanto evidente che tra le intenzioni di Nordio e i propositi della gran parte della magistratura (soprattutto la parte, diciamo così, più militante) la divergenza non potrebbe essere più ampia. 

E infine, sul presidenzialismo, vero cavallo di battaglia della destra, si tratta di incrociare i ferri con una lunga e robusta tradizione repubblicana. Quella tradizione che ha sempre guardato con sospetto a qualunque idea di accentramento dei poteri nelle mani di un leader. E che ancora oggi può rivendicare a sostegno delle proprie buone ragioni il fatto che il capo dello Stato, eletto al modo di sempre, sembra essere il punto di maggior forza, e perfino di maggior seguito, di tutto il sistema. Riverberando all’occorrenza qualche beneficio perfino su governi di diverso colore politico. 

Insomma, le ragioni per non cambiare sarebbero più d’una. Salvo il fatto che nel frattempo ha preso piede una diffusa retorica pubblica che reclama a gran voce innovazioni sempre più profonde e sempre più fantasiose. Retorica che nelle stanze di Palazzo Chigi risuona a questo punto in modi a volte più stentorei, a volte più accorati, ma a quanto pare niente affatto rinunciatari. 

Così, diventa quasi ovvio prevedere che questa carovana si metterà in movimento per davvero. Senza tener troppo conto del fatto che tutti i tentativi precedenti di cambiare regole fondamentali (dalla devolution di Bossi al premierato di Renzi) sono andati incontro alla sconfitta nei referendum popolari che avrebbero dovuto confermarli. 

Non esistendo il rischio zero, si tratterà a quel punto di scegliere tra un rischio e l’altro. Sapendo peraltro che chi, come il sottoscritto, sarebbe dell’idea di cambiare il meno possibile, e con la maggior cautela, di questi tempi si trova a correre forse il rischio maggiore”. (di Marco Follini) 

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