Cronaca

"Il mio percorso di cura per mieloma":
L'esperienza di una paziente

«Ho deciso di condividere ciò che mi è accaduto per mandare un messaggio a chi si trova a fare i conti con un mieloma multiplo. Vorrei dire loro che affrontarlo è possibile, che c’è speranza». Le parole sono di Maria (nome di fantasia) paziente assistita dall’unità operativa di  Ematologia dell’Ospedale di Cremona. A pochi mesi dall’autotrapianto di midollo – concluso con ottimo esito – ha voluto raccontare la propria storia e l’esperienza della malattia, lungo il percorso che oggi le ha permesso di riprendere la propria vita.
La diagnosi risale al 2021, quando i primi sintomi – stanchezza e malessere – la portano a fare accertamenti, che confermano una forte anemia. Il primo incontro con l’ematologa Cristina Fiamenghi – referente dell’ambulatorio dedicato – richiede una biopsia midollare. Diagnosi: mieloma multiplo.  «Avevo già capito che qualcosa non andava – ricorda la paziente – ma sentirselo dire è un’altra cosa, non si è mai preparati. Il mio corpo mi ha mandato un messaggio forte: stavo tirando la corda, sapevo che prima o poi si sarebbe spezzata, ma non immaginavo di trovarmi di fronte ad una malattia così grave».
UN LUNGO CAMMINO
Il mieloma è un tumore del sangue. Causa la proliferazione neoplastica di plasmacellule, che possono comportare danni a livello osseo, midollare e renale. Pur essendo relativamente raro, rappresenta circa il 10 per cento delle neoplasie ematologiche. «La paziente ha seguito il percorso ordinario destinato a chi è affetto da mieloma multiplo con indicazione di trapianto», spiega Alfredo Molteni, direttore dell’Ematologia dell’Asst di Cremona. «In questi casi, è prevista una terapia d’induzione con l’aggiunta di un anticorpo monoclonale di nuova generazione, che all’Ospedale di Cremona è già in uso da un paio di anni, con ottimi risultati».
Questa prima fase è iniziata nel febbraio 2022, per un totale di quattro cicli, cui è seguita la rivalutazione: «Abbiamo riscontrato un’ottima risposta – conferma Molteni – questo ci ha permesso di programmare il trapianto autologo. Per farlo, sono necessari due cicli di chemioterapia: uno per raccogliere le cellule staminali, il secondo – ad alte dosi – per reintrodurle nell’organismo del paziente, in modo che possano ripopolare il midollo e favorirne la ricrescita». Un percorso non semplice, che si è concluso con ottimo esito: a settembre la paziente ha iniziato la terapia di mantenimento, consapevole che nel tempo potranno verificarsi ricadute.
«Purtroppo, non possiamo ancora guarire questa malattia – afferma Molteni – ma facciamo il possibile per allontanare il momento in cui si dovesse ripresentare. Tutto ciò è possibile grazie alla collaborazione interdisciplinare con i reparti di Anatomia Patologica e Radiologia, con il Centro trasfusionale e il Laboratorio di biologia molecolare e citogenetica, oltre all’importante supporto offerto da  neurochirurghi e ortopedici, dentisti e odontoiatri, nonché dal team infermieristico specializzato per gli accessi vascolari».
«ESSERE IN BUONE MANI»
Assistita dall’équipe dell’Ematologia, la donna ha intrapreso un percorso terapeutico lungo quasi un anno, cadenzato da esami diagnostici, ricoveri e visite di controllo. Il quarto piano dell’Ospedale è diventato per lei un appuntamento fisso: «Durante la fase più intensa – ricorda Maria  – trascorrevo quattro o cinque ore attaccata alla flebo. Questo mi ha consentito di frequentare a lungo il reparto e conoscere il personale: attorno a me ho trovato grande competenza e professionalità, cura e sintonia. Non mi sentivo una sconosciuta. Grazie a questo ho affrontato tutto molto serenamente, l’approccio positivo di medici e infermieri mi ha aiutata. Per questo ho scelto di raccontarlo, in segno di riconoscenza».

“LEI È IL MIO ANGELO CUSTODE”
Il ringraziamento di Maria si estende all’intero reparto: «Ho incontrato specialisti molto preparati, attenti e disponibili, in grado di sdrammatizzare la tensione di quei momenti, senza far mancare l’ascolto e la cura per i disturbi che inevitabilmente accompagnano questo percorso. Ho sentito di potermi fidare, di essere in buone mani». A ciò hanno contribuito i volontari dell’associazione Medea, che hanno accompagnato la paziente in ospedale durante le diverse fasi del percorso terapeutico.

«In un reparto come questo, basta poco per capire quanta sofferenza c’è», afferma Patrizia Musa, da tre anni coordinatore dell’Ematologia. «Il paziente ematologico la vive in solitudine: il mieloma causa forte immunodepressione e costringe all’isolamento chi lo affronta.  Oltre agli smartphone, l’unico contatto umano siamo noi operatori sanitari: cerchiamo di dedicare tempo alla relazione, che è un modo per prendersi cura al di là della terapia. Significa saper ascoltare, e stare attenti a ciò che si fa e si dice».

La degenza dei pazienti affetti da mieloma è in media più lunga di quella registrata in altri reparti: «Spesso sono persone giovani – aggiunge Musa – che si vedono arrivare tra capo e collo una malattia che cambierà la loro vita. Condividiamo le loro storie quotidianamente, è difficile non portarsi a casa ciò che si vive qui. C’è chi mi ha detto “lei è il mio angelo custode”, perché in un momento così drammatico non è scontato avere qualcuno vicino. Soprattutto nelle fasi del trapianto, in cui è necessaria un’organizzazione e una sincronia che il paziente non vede, ma percepisce. Oltre alla capacità di lavorare con precisione e professionalità è necessario saper leggere le persone, per aiutarle ad affrontare tutto con più leggerezza».

Un pensiero è dedicato a chi sta affrontando la stessa situazione: «La prevenzione è importante – sottolinea Maria – così come ascoltare i messaggi del proprio corpo. È una malattia molto subdola, che va identificata per tempo e affrontata seguendo un percorso lungo e impegnativo. Rimette in discussione il tuo rapporto con la morte e ti fa riscoprire il dono della cura, che ho deciso di condividere. Consapevole di ciò che ho passato e di quanto vale il tempo rimasto».

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