"I troppi allevamenti intensivi
mettono in crisi Ats Valpadana"
Regione e Ats, rispondendo ad una mia interrogazione, hanno fornito alcuni dati sui cui sarebbe bene riflettere per capire la necessità di cambiare il paradigma di sviluppo del comparto zootecnico delle province di Cremona e Mantova, ricomprese nella ATS Valpadana.
Dati alla mano, in Lombardia ci sono circa 12.600 allevamenti. Nella sola provincia di Cremona, secondo i dati forniti dalla Provincia, ci sono 1.588 allevamenti/aziende zootecniche di cui sono circa 150 quelle soggette ad Aia (aziende a forte rischi inquinamento ndr).
Il primato per numero di allevamenti spetta a Castelleone con un totale di 32. Segue Crema con 23 e Cremona con 20.
Così come riportato dall’assessore Bertolaso, il territorio dell’Ats Valpadana rappresenta un comparto veterinario d’eccezione, basti pensare che si allevano 649.941 bovini, il 42% del fabbisogno regionale nonché il 12% di quello nazionale e se ne macellano 265.657, il 43% del fabbisogno regionale e il 9,5% di quella nazionale. Il latte prodotto è pari a 25l.742.910 unità, il 44% del fabbisogno regionale e il 18% di quello nazionale. Per quanto riguarda i suini allevati, questi sono 2.053.447, ossia il 48% del fabbisogno regionale nonché il 24% di quello nazionale. Passano a 3.540.484 quelli macellati: il 95% del fabbisogno regionale e il 34% di quello nazionale.
Il dato che interessa il lavoro dell’Ats riguarda il fatto che numeri così alti richiedono una gestione altrettanto onerosa, soprattutto in merito ai controlli necessari a garantire la tutela della salute pubblica. Nell’Ats Valpadana ci sono stati 299.636 accertamenti diagnostici e 3.333 campionamenti. Non entro nel merito – chiosa Degli Angeli – se questi controlli siano stati sufficienti o meno. Mi riferisco però a quanto la stessa Ats ha lamentato: a causa del Covid in un primo momento e della diffusione dell’aviaria poi, ci sono state pesanti ricadute sulla programmazione e sulle gestione delle attività di controllo e di campionamento. Un comparto produttivo di così grande impatto e d’eccezione nei numeri, necessiterebbe di strutture di controllo altrettanto d’eccezione e non in affanno perché sottodimensionate o oberate. Perché questa criticità emerge solo ora e non è stata espressa prima?.
Nel frattempo il Dipartimento veterinario e sicurezza degli alimenti di origine animale (DVSAOA) ha dichiarato che nella sola Ats Valpadana, a causa di 30 focolai durante il biennio 2021-2022, sono stati abbattuti 3.685.130 capi di bestiame, distrutti 540.256 kg di uova e 1.851.782 kg di mangime per un totale di spese connesse pari a 16.541.981 euro. Contestualmente, il nuovo rapporto “Allevamento, zoonosi e pandemie”, redatto dall’organizzazione internazionale per la protezione degli animali Humane Society International (HSI), ha sottolineato la necessità di accelerare l’azione globale verso una transizione alimentare più sostenibile, questo perché gli allevamenti intensivi potrebbero costituire terreno fertile per future pandemie: non è infatti un caso, soprattutto negli ultimi 30 anni, se gli animali da allevamento sono stati al centro di molteplici epidemie, tra cui l’aviaria H5N1 trasmessa all’uomo dal pollame e l’influenza suina H1N1.
In Lombardia, stando ai dati di Green Peace, sono 168 i comuni (uno su dieci) dove nel 2018 è stato superato il limite legale annuo di azoto per ettaro e in tal senso è stata proprio Arpa Lombardia a chiarire la necessità di porre attenzione ad alcune pratiche agronomiche collegate agli allevamenti, poiché favoriscono la disponibilità nel suolo di azoto. Come se non bastasse va ricordato che due studi ISPRA, uno del 2019 e il secondo del 2020, attestano come gli allevamenti siano i responsabili del 15% delle emissioni di polveri sottili in atmosfera (inquinando più di auto e moto) nonché del 94% delle emissioni di ammoniaca, la quale contribuisce a diversi problemi ambientali, tra cui l’acidificazione dei suoli, l’alterazione della biodiversità e l’eutrofizzazione delle acque.
La filiera dello smaltimento del refluo zootecnico è un altro elemento che va tenuto in grande considerazione. La Lombardia, con i suoi 451 impianti è la regione che ospita un terzo di tutti gli impianti italiani di biogas di derivazione agricola. A livello provinciale, Cremona vanta il numero più elevato con 154 impianti. Segue Brescia con 86. Si posizionano sullo stesso gradino le province di Mantova e Lodi, le quali ne contano invece 59.
Ad oggi purtroppo non esiste una vera e propria programmazione regionale dell’impiantistica e nei processi autorizzativi, che coinvolgono province e comuni, non viene mai considerato l’impatto cumulativo dal punto di vista ambientale e sanitario. Non esiste nemmeno una pianificazione basata sul fabbisogno regionale con la conseguenza di sottoporre alcuni territori, già fragili, ad uno stress ulteriore e non più sostenibile, delle matrici aria, acqua e suolo.
Il MoVimento 5 Stelle lo ripete da anni: se non attuiamo un cambio di paradigma verso una vera transizione ecologica, che comprenda anche la diminuzione progressiva degli allevamenti intensivi, accompagnando gli allevatori in questo fondamentale passaggio verso un’agricoltura razionale, la salute ambientale e dei cittadini sarà messa sempre più a rischio.
Marco Degli Angeli, consigliere pentastellato di Regione Lombardia