Cronaca

L'autunno non ferma la crisi idrica:
ora emergenza è idroelettrico

Foto Sessa

Il caldo straordinario di queste settimane riporta in auge il tema della siccità: un problema che, vista la scarsità delle precipitazioni autunnali, non è mai stato risolto, tanto che il fiume Po continua a oscillare tre i -6 e i -8 metri sotto lo zero idrometrico, e la portata attuale è circa un quarto di quella che normalmente si ha in questa stagione. Ne abbiamo parlato con Marco Gardella, funzionario dell’Autorità distrettuale del Fiume Po.

“Purtroppo la crisi idrica che ci affligge ormai da un anno, sta proseguendo: le piogge giunte sull’arco alpino hanno dato un breve sollievo, ma si tratta solo di di precipitazioni temporalesche e molto localizzate. Dunque le portate del fiume sono ancora molto basse: basti pensare che a pontelagoscuro stanno transitando 480 metri cubi al secondo, quando la media del periodo dovrebbe essere 1700”.

E se da un punto di vista dell’agricoltura, essendo terminata la stagione irrigua, il problema viene meno, bisogna guardare al futuro, e alla necessità “del riempimento dei bacini in vista del 2023” continua Gardella. “Così come è fondamentale riempire le falde nell’arco alpino, per sostenere il comparto dell’idropotabile”.

Ma la crisi idrica si interseca anche con quella energetica: “Una delle emergenze da affrontare è quella del riempimento dei bacini alpini per la produzione dell’energia elettrica, che oggi, a fronte della crisi che stiamo vivendo, è necessaria più che mai” continua il funzionario. “I serbatoi vuoti non consentono infatti all’idroelettrico di produrre quantitativi importanti di energia, soprattutto considerando che il 55% dell’idroelettrico italiano viene prodotto grazie al fiume Po. E ad oggi siamo la produzione è inferiore del 70% rispetto allo scorso anno”.

Insomma, il clima sta cambiando, e la situazione rischia di diventare endemica. Per questo, con uno sguardo al futuro, bisogna lavorare in vista della prossima stagione, creando quelle infastrutture che consentano la conservazione dell’acqua piovana. Basti pensare che “noi riusciamo a trattenere solo il 10% delle piogge, mentre in climi più aridi, come la Spagna, ne trattengono il 50%” spiega Gardella. “Non è un programma di semplice realizzazione perché bisogna innanzitutto riuscire a penetrare l’opinione pubblica, dando garanzie che i lavori che vengono fatti sono in estrema sicurezza e per il bene di tutti”.

Si tratta in ogni caso, di lavori che richiedono “tempi lunghi. Ma dobbiamo essere pronti, considerando che avremo sicuramente qualche bacino in più, ma non saremo in una condizione strutturale tanto diversa dal 2022”. A fare la differenza sarà “l’esperienza che ci ha portato a capire alcune dinamiche che potranno essere messe in campo in caso di crisi idrica”.

Ma non è solo la costruzione di “infrastrutture grigie” che porterà a risolvere il problema della siccità. Secondo Gardella, “bisogna avere un nuovo tipo di approccio alla risorsa idrica. Siamo sempre stati abituati a lavorare in abbondanza di acqua, tanto che in passato il problema era preoccuparci di come smaltirla. Ora però ci siamo resi conto che il cambiamento climatico ci rende vulnerabili anche alla sua assenza, e questo ci costringe a cambiare il nosto paradigma: da bene inifinito diventa risorsa scarsa, che dobbiamo ottimizzare nei consumi”.

Da non trascurare, poi, l’aspetto ambientale: “La crisi idrica non riguarda solo il settore idropotabile o idroelettico ma anche quello ambientale” conclude il funzionario. “I livelli bassi dell’acqua del fiume provocano problemi anche alla flora e alla fauna. Per questo, oltre a mantenere in essere la parte economica, ricordiamo che l’acqua del Po, direttamente o indirettamente, produce il 40% del pil italiano, sicuramente c’è anche un tema di qualità e salvaguardia ambientale molto importante che vengono danneggiati da bassi livelli del fiume, che aumentano lo stress ambientale”.

Laura Bosio

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