Cronaca

Cremona tra anni '30 e '50: le foto
Fazioli nella nuova Sala Alabardieri

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Piazza Marconi, la posa dei sanpietrini

Cremona che cambia, nelle immagini di uno dei grandi fotografi del Novecento, Ernesto Fazioli. Questa mattina in sala Alabardieri di palazzo Comunale è stata inaugurata questa mattina l’esposizione “Scena urbana”, organizzata dalla Presidenza del Consiglio Comunale di Cremona in collaborazione con l’Archivio di Stato di Cremona e il Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali dell’Università di Pavia.

Ad illustrarla, Paolo Carletti, Presidente del Consiglio Comunale, Luca Burgazzi, Assessore alla Cultura, Valeria Leoni, Direttrice dell’Archivio di Stato di Cremona, Federica Del Vecchio, che ha curato i testi che accompagnano l’esposizione, e Mariano Venturini, responsabile del Servizio Segreteria Generale del Comune di Cremona, che ha curato l’organizzazione della mostra.

Preziosa anche la collaborazione di Elena Mosconi, Docente di Storia del cinema e di Storia della fotografia dell’Università di Pavia. Come sottolineato nel corso della presentazione, è questo il primo evento pubblico che si svolge nella Sala Alabardieri di Palazzo Comunale riqualificata e si inserisce nelle iniziative volte alla valorizzazione dell’edificio che la ospita, il Palazzo Comunale che, dopo la chiusura nel periodo della pandemia, è tornato ad aprire le sue porte al pubblico, in quanto “casa dei cremonesi”.

Le fotografie di Ernesto Fazioli scelte per questa mostra, che si può visitare negli orari di apertura del Palazzo Comunale (dal lunedì al sabato, dalle 9 alle 18), sono collocate in otto espositori ciascuno contrassegnato da un pannello con una breve descrizione: Luci sul Duomo, La “Fabbrica” del Palazzo Comunale, La Galleria come riparo, Vuoto al centro (storico), Uomini all’opera, Educazione moderna, Case per tutti, Al servizio della città.

Nell’archivio fotografico del Comune di Cremona spicca un fondo di circa 700 immagini – oggetto di un lavoro di riordino e catalogazione – che documentano le trasformazioni della città dagli anni Trenta agli anni Cinquanta, riconducibili al fotografo Ernesto Fazioli.
L’autore è ben conosciuto ai cremonesi, i quali ne hanno potuto apprezzare gli scatti in più occasioni: mostre e pubblicazioni hanno ripreso le sue opere più celebri, fino a farle diventare, nel tempo, quasi un “canone” della rappresentazione urbana. Ernesto Fazioli (Cremona, 27 maggio 1900 – 27 novembre 1955), giovane allievo di Emilio Sommariva a Milano, e poi dei cremonesi Emilio Boni, Aurelio Betri, Palmiro Sansoni e Alessandro Novaresi (con cui collabora fino ad aprire un proprio studio, nel 1925) è una voce autorevole nel paesaggio culturale di Cremona e della fotografia italiana.

Lo stile eclettico, che risente sia di echi pittorialisti che della stagione delle avanguardie, è sempre al servizio di un’idea personale di fotografia, uno sguardo che gli vale numerosi premi e riconoscimenti nazionali e internazionali. Di questo stile sono traccia sia le immagini pubblicate sulla rivista Cremona, organo culturale del regime sul territorio, sia le numerosissime fotografie che documentano – come corrispondente del LUCE o incaricato dall’Ufficio tecnico del Comune – il patrimonio artistico e le trasformazioni urbanistiche della città, insieme agli avvenimenti politici e culturali.

“Cremona che cambia” non è la prima esposizione dei materiali posseduti dall’archivio del Comune di Cremona ma, sulla scia dei lavori che si sono nel tempo depositati su Fazioli, è una sintesi degli ambiti su cui le immagini del fotografo si sono maggiormente esercitate. Nell’intento di documentare demolizioni e nuove edificazioni, gli scatti di Fazioli hanno
conservato anche le tracce – dirette o indirette – di chi ha partecipato, o semplicemente vissuto, tale cambiamento.
È in questa chiave che l’Amministrazione Comunale e la Presidenza del Consiglio Comunale – con la collaborazione di Archivio di Stato di Cremona e del Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali dell’Università di Pavia – le ripropone oggi sia a coloro che hanno una memoria più diretta di ciò che è rappresentato sia ai più giovani, che forse prendono coscienza per la prima volta dei cambiamenti della città.
La “grana” delle immagini, che si è voluta preservare nelle stampe d’epoca (alcune coeve agli scatti, altre successive), rende visibile come il lavoro, anche quello apparentemente anonimo della documentazione, se ben svolto e opportunamente valorizzato, possa divenire un vero e proprio bene culturale, un patrimonio collettivo da non disperdere.

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