Pd, prima assemblea con autocritica
"Congresso rapido, Regionali in vista"
Anche il Pd di Cremona fa autocritica e guarda ad un futuro come voce principale dell’opposizione al centrodestra, cercando di ricostruire il legame ormai spezzato con quelle classi sociali che costituivano la base elettorale di un partito di centrosinistra.
Un primo momento di confronto collettivo in città c’è stato ieri sera in sala Zanoni, con l’assembla provinciale convocata dal segretario Vittore Soldo. Molti i partecipanti, da Rivolta d’Adda a Casalmaggiore. La fase congressuale è cominciata, ma dovrà essere condotta in modo rapido, ha detto Soldo, come rapido dovrà essere il confronto per arrivare a candidature efficaci per le elezioni regionali. Pressochè scontata la ricandidatura di Matteo Piloni, presente in sala, ma sarà necessario affiancargli altre figure forti per assicurare una rappresentanza territoriale nel parlamentino regionale.
“La sconfitta è stata politica, più che numerica”, ha detto Soldo commentando i risultati elettorali in provincia, che confermano la tenuta nelle città e invece il netto calo nei centri minori soprattutto in quelli sotto i 3000 abitanti. Ricucire il rapporto centro periferia sarà quindi indispensabile, ma il tema non è nuovo e la questione dei circondari, non tutti attivi come avrebbero dovuto, è un problema di vecchia data per il Pd provinciale.
Il congresso non è solo quello che si sta avviando a livello nazionale, ma riguarderà anche i i livelli regionali e provinciali. “Il mio ruolo è a disposizione, sia in un senso che nell’altro”, ha detto Soldo, di fatto rendendosi ancora disponibile ma evidenziando anche che “fare politica in queste condizioni è molto difficile, richiede un impegno e una complessità che ritengo giusto evidenziare”.
Soldo ha poi sviscerato gli errori del Pd in cinque concetti chiave: sconfitta; stabilità (l’elettorato ci ha visto come il partito dello status quo e della conservazione del potere, non quello dell’affidabilità); speranza (non si è stati in grado di interpretare quelle degli italiani); fiducia (“quale fiducia dovrebbe raccogliere un partito che si dice pronto a raccogliere le istanze di donne e giovani e poi fa fatica a candidarne un numero significativo alle elezioni?”); domande e risposte giuste (“siamo ancora in grado di riconoscere i bisogni e le speranze delle persone?”).
“Nel 2018 non abbiamo approfondito le ragioni della sconfitta, un errore derivante dall’urgenza di dare un governo al Paese. E così si è erosa la nostra base elettorale”, uno dei passaggi del segretario.
Michele Bellini, cremonese, braccio destro di Enrico Letta per tutta la campagna elettorale, ha ripercorso tutte le fasi dal 20 luglio al 25 settembre, una campagna elettorale brevissima e condotta tra le scoppiettate di presunte alleanze e una situazione internazionale sempre più drammatica: “Già il primo agosto eravamo usciti – siamo stati i primi – con la campagna elettorale basata sul ‘Vincono le idee’. In quella prima fase i sondaggi ci davano in crescita. La partita sembrava che dovesse giocarsi tra noi e Fratelli d’Italia. La situazione è poi degenerata con la negoziazione con Calenda, il quale ha continuato ad alzare l’asticella. Sono stato testimone di non pochi malumori a questo proposito all’interno del Pd, con un crescendo di insofferenza nei confronti di Calenda, anche a poche ore dall’annuncio dell’alleanza. Il 2 agosto si raggiunge l’accordo e si riaccende la speranza di riaprire la partita. Il 7 agosto, il punto di non ritorno: la rottura dell’alleanza determina una caduta nei sondaggi da cui non ci siamo più ripresi. Siamo rimasti con una mini coalizione sbilanciata a sinistra e con la contraddizione di avere con noi un partito anti Draghi, mentre la destra ha potuto contare sul fatto di essere percepito come una novità, con Salvini che ha gettato via l’ennesima maschera”.
“Il programma da solo non basta – ha aggiunto Bellini – serve l’efficacia di un messaggio che agisca sul lato emozionale delle persone. Letta ha puntato su giovani e lotta ai cambiamenti climatici, ma nonostante le tragedie ambientali a cui abbiamo assistito questo tema in Italia non riesce a prevalere”.
Nubi fosche sulle prospettive di un partito riformista socialdemocratico, se prevarrà lo schema tripolare di Calenda – Renzi, avverte Bellini: anche da noi si potrebbe replicare lo scenario francese, “sinistra massimalista alla Melancon, destra sovranista alla Le Pen e al centro un Macron post ideologico”.
LUCIANO PIZZETTI – Il deputato uscente ha preso la parola al termine dell’assemblea. Uno degli errori è stato di puntare tutto sull’agenda Draghi, che “è importante perchè è una condizione ‘sine qua non’ per cambiare il Paese in termini strutturali, ma insieme ci vuole una grande azione sociale perchè la crisi morde, erodendo i redditi delle persone in carne ed ossa. Una risposta la dai se l’Europa cresce, se metti nuovi risorse e se ti rendi rappresentante di queste istanze”.
Errore da non ripetere è fare appelli anti – destra, “io non ci credo più, credo invece al lavoro per costruire una alternativa alle destre. Dalle periferie ci siamo allontanati, è evidente, tant’è che abbiamo perso quei voti. Il tema non è andare nelle periferie, ma farsi carico del disagio di tante persone. L’inflazione cresce, le bollette aumentano e vanno a incidere su una parte importante di quello che dovrebbe essere l’elettorato del Pd, se il Pd è un partito riformista, di sinistra e progressista”.
Possibilità di stare all’opposizione accanto al Movimento 5 Stelle proprio non ce ne sono, “dopo quello che è successo sicuramente non ci sono margini, piuttosto dobbiamo andare a parlare al loro elettorato. Le cose si affrontano non solo stando al Governo, ma anche affrontando i problemi che i cittadini ti pongono. Senza stare sul piedistallo e guardando dall’alto al basso, ma stando tutti sullo stesso livello”.
In assemblea, oltre a nomi storici del Pd cremonese e dei circondari, anche tanti volti giovani, le nuove leve del partito, come Daniele Calliai, consigliere a Moscazzano: “Dovremo ricominciare da lì dove in questi anni il Pd è mancato, da dove progettavamo di ricreare il nostro partito e quindi una coscienza condivisa. Puntare su alcuni elementi del programma legati al lavoro, al sociale, ai diritti ma soprattutto a diritti di quelli che risiedono nelle parti più povere delle nostra città, quindi sicuramente partendo dagli ultimi”.
O come il giovanissimo Daniele Cantarini, segretario del circolo di Rivolta d’Adda: “Lo hanno detto in molti ormai, il Pd dovrebbe ripartire dalla propria identità, capire chi è veramente e chi vuole rappresentare, per riuscire poi a veicolare le idee, i valori e il programma in una maniera più chiara e diretta. Il lavoro del governo Draghi è sicuramente ottimo ma quando si è in un governo così ampio è difficile veicolare i propri messaggi. Stavolta è andata così, e al prossimo giro spero che saremo più forti, pronti e preparati”. gbiagi