Bimba nata morta, la ginecologa:
"Non c'era alcun segnale d'allarme"
Leggi anche:
Quella di Nicoletta “era una gravidanza fisiologica, non c’era alcun segnale d’allarme che lasciasse presagire un epilogo così drammatico”. Così si è difesa Alessandra Scarpa, ginecologa all’epoca dei fatti in servizio all’ospedale di Cremona, a processo per omicidio colposo, in quanto, secondo l’accusa, quattro anni fa avrebbe provocato la morte di un feto. La mamma Nicoletta si trovava alla quarantesima settimana di gravidanza. Aspettava una bimba.
La donna era stata visitata sia il 31 dicembre del 2018 che il primo gennaio del 2019, ma per la procura, nonostante dagli esami fossero emersi una riduzione del liquido amniotico, una riduzione della crescita del feto e alterazioni della glicemia nella mamma, il medico non aveva ritenuto di ricoverarla, omettendo ulteriori approfondimenti e uno stretto monitoraggio del feto, morto il 3 gennaio del 2019 per sofferenza fetale acuta, asfissiato dal cordone ombelicale. Per il pm Vitina Pinto, se ci fosse stato un ricovero, alle prime avvisaglie di sofferenza del feto sarebbe stato possibile procedere con l’induzione del parto o al parto cesareo.
Oggi davanti al giudice la ginecologa ha ricordato quelle due visite alle quali la mamma era stata sottoposta: una visita ostetrica e il tracciato cardiotocografico. “In entrambi gli accertamenti”, ha spiegato la Scarpa, “non erano emerse situazioni allarmanti. Il tracciato era rassicurante e la frequenza cardiaca del feto nella norma”. L’unica cosa che l’imputata ha sottolineato è il fatto che dall’ecografia del 31 dicembre il liquido amniotico era di 5 cm, di poco inferiore rispetto alla norma, ma alla visita del giorno dopo, effettuata “per prudenza”, era tornato normale. A Nicoletta, l’imputata aveva prescritto “riposo e abbondante idratazione”.
“La signora”, ha aggiunto la ginecologa, “aveva avuto un solo episodio di contrazione, ma il tracciato era normale e il battito perfetto. Non c’è alcun esame diagnostico che mostri i giri di cordone intorno al collo del feto. Ci si accorge solo durante il travaglio perchè il battito tende a scendere. Il giro di cordone non è qualcosa di prevedibile”. Per l’imputata, dunque, “non c’erano i presupposti”, al termine di quelle due visite, per un ricovero della paziente. “Poi sono bastati quei 4/5 minuti di contrazioni a portare alla sofferenza del bimbo, ma non ci sarebbe stato comunque il tempo di intervenire”.
Nel corso della precedente udienza avevano testimoniato i consulenti della procura, che, pur riconoscendo la sussistenza di un’imprudenza da parte del medico sul mancato ricovero e di quei “campanelli d’allarme disconosciuti”, non avevano dato certezze sul fatto che la morte del feto, dovuta ad asfissia da compressione di un lungo cordone ombelicale (un metro anzichè 40/50 cm) in un liquido amniotico molto basso, si sarebbe potuta evitare.
Nella loro relazione, i consulenti Andrea Verzeletti, medico legale, e Michele Costa, ginecologo, avevano ritenuto “censurabile” il comportamento dell’imputata: “una valutazione più attenta avrebbe potuto portare al ricovero e ad un monitoraggio più serrato della paziente, gravida ormai oltre il termine. Tale monitoraggio avrebbe potuto condurre ad una induzione al parto con varie metodiche”.
Per i due esperti, “appare concretamente prospettabile l’ipotesi che un monitoraggio più serrato in regime di ricovero avrebbe permesso di intercettare segni di sofferenza fetale, anche transitori, legati a fenomeni di compressione del cordone ombelicale, abnormemente lungo e di per se stesso esposto a fenomeni di compressione”.
Secondo i due consulenti, ci sarebbero state “buone probabilità di riuscire ad evitare il decesso del feto, ricorrendo tempestivamente al taglio cesareo, anche se, alla luce della causa di morte del feto, non si può escludere perentoriamente la possibilità, anche in regime di ricovero e di monitoraggio, del verificarsi di una occlusione oltremodo repentina dei vasi del cordone ombelicale con conseguente sofferenza del feto, anche tale da rendere conto del decesso dello stesso, nonostante un tempestivo intervento dei sanitari”.
In una successiva integrazione della loro relazione, i consulenti avevano concluso, sostenendo che “pur riconoscendo buone probabilità di una evoluzione favorevole della vicenda clinica in assenza delle rilevate inadeguatezze assistenziali, non riteniamo che tali probabilità possano essere ritenute prossime alla certezza”.
La prossima udienza, fissata al 5 maggio, saranno sentiti i consulenti di parte civile e difesa.
Il medico è assistito dall’avvocato Diego Munafò, mentre Nicoletta e Antonio, entrambi 40enni, oggi genitori di un maschietto di due anni, sono parte civile attraverso il legale Marcello Lattari.
Sara Pizzorni