"Investito dal pugno", il primario: "In
tre anni mai una telefonata di scuse"
Leggi anche:
“In tre anni non ho mai ricevuto neanche una telefonata di scuse. Se l’avessi ricevuta, ne avrei parlato con il mio avvocato Luca Curatti, del quale mi fido ciecamente. Un sanitario non lo devi toccare neanche con un fiore per qualsiasi motivo perchè sta facendo il suo dovere per aiutare i pazienti. Poi se ha sbagliato sarà giudicato nelle apposite sedi”. A parlare è Aldo Riccardi, primario del reparto di Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale di Cremona, colpito con un pugno al volto il 3 gennaio del 2019 da Antonio, che dopo aver saputo che la sua bimba era nata morta, aveva dato in escandescenze, costringendo il primario a far chiudere le porte del reparto e a chiamare le forze dell’ordine.
Riccardi aveva sporto querela e Antonio è finito a processo con le accuse di lesioni, violenza privata, danneggiamento e soppressione, distruzione o occultamento di atti pubblici, in questo caso della cartella clinica. L’imputato, che aveva ammesso di aver sbagliato, aveva espresso la volontà di risarcire, ma non è stato raggiunto l’accordo. Il primario aveva chiesto 10.000 euro di danni, mentre l’Ordine dei medici di Pavia, al quale Riccardi è iscritto e che si è costituito parte civile con il legale Massimiliano Caffetti, 15.000 euro, di cui 5 per danni morali e il resto per le lesioni. Troppo, per l’avvocato Marcello Lattari, legale del papà.
Tre anni fa Antonio avrebbe dovuto diventare padre per la prima volta. Ma la sua bimba era nata morta e quando gliel’avevano comunicato, sconvolto, aveva cominciato ad urlare. L’ostetrica aveva chiamato il primario che in quel momento era nel suo studio. “Mentre stavo raggiungendo il pronto soccorso ginecologico”, ha ricordato Riccardi, “ho sentito delle urla. Quando sono arrivato mi sono presentato, ho chiesto cosa era successo e improvvisamente lui mi si è parato davanti e mi ha tirato un pugno in faccia, facendomi cadere gli occhiali”. Per il primario, prognosi di sette giorni per trauma facciale. “Non ho reagito”, ha spiegato Riccardi. “Il mio unico pensiero era quello di mettere in sicurezza il personale, che era terrorizzato, e ho ordinato di chiudere le porte del reparto, anche per tutelare le pazienti, e di chiamare la polizia”.
In aula ha testimoniato anche il medico di guardia Mariangela Rampino che ha descritto la reazione dell’imputato come “uno scatto d’ira improvviso e spaventoso scoppiato nell’arco di pochi minuti”. Carlotta Generali era l’ostetrica che quel giorno aveva accolto Nicoletta, la moglie di Antonio, arrivata per un monitoraggio a termine. “Ho fatto una prima ecografia e non ho sentito il battito del feto, così ho avvertito la dottoressa che ha deciso di utilizzare un ecografo più specifico. Il battito non c’era. Una volta tornati nel laboratorio del pronto soccorso, il marito della paziente ha cominciato a urlare, ha tolto la tastiera dal computer e ha lanciato uno sgabello sull’ecografo. A quel punto la dottoressa Rampino è uscita chiedendo di avvisare Riccardi”. “Sono rimasta impietrita da quella reazione così violenta e improvvisa”, ha raccontato l’ostetrica. “Quell’uomo urlava che ci avrebbe ammazzato”.
Tre ore dopo l’accaduto, quando a Nicoletta era stato praticato il taglio cesareo, Antonio si era tranquillizzato. “Lei piangeva e lui era in silenzio totale”, ha ricordato la Rampino. “Una volta tornati in ambulatorio”, ha spiegato invece l’ostetrica Generali, “ci siamo accorti che mancavano l’ecografia e il foglio che si utilizza per segnare i monitoraggi. I fogli, tutti stropicciati, sono stati poi restituiti dal signore, su invito delle forze dell’ordine”.
In aula, Manuela Denti, coordinatrice di Ginecologia e Ostetricia, ha ricordato: “Quel giorno ero nel mio ufficio. Sono stata chiamata dall’ostetrica del reparto. C’era trambusto. Ho visto la Rampino e la Generali spaventate e il reparto bloccato. Dall’altra parte si sentiva urlare e battere sulla porta”. “Vi ammazzo, vi distruggo”, ha riferito di aver sentito il direttore medico Federica Pezzetti, altra testimone della parte civile. “C’era un clima di grande agitazione. Chiudendo le porte abbiamo tutelato anche la sicurezza delle pazienti che potevano accedere al pronto soccorso ginecologico”. Da Riccardi, la Pezzetti aveva ricevuto la segnalazione relativa alla sparizione della cartella clinica. Documentazione successivamente restituita.
L’udienza è stata aggiornata al prossimo 12 gennaio per sentire un ultimo testimone, questa volta della difesa. Già in quella data potrebbe essere pronunciata la sentenza.
Per la morte del feto è in corso un altro procedimento per omicidio colposo nei confronti della ginecologa Alessandra Scarpa che aveva seguito la gravidanza di Nicoletta. Domani l’imputata si difenderà.
Sara Pizzorni