Mosca: "Ai danni del primario
una manovra di accerchiamento"
Depositata la motivazione della sentenza di
assoluzione. Uno dei due farmaci "incriminati"
somministrato al paziente Paletti dopo la morte
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Sulle “false accuse rivolte al dottor Mosca” si concentrano i passaggi più forti della motivazione depositata in queste ore dai giudici della Corte d’Assise di Brescia (presidente Roberto Spanò, giudice a latere Carlo Ernesto Macca e sei giudici popolari) che lo scorso primo luglio hanno assolto con formula piena Carlo Mosca, 49 anni, originario di Persico Dosimo, l’ex primario del pronto soccorso dell’ospedale di Montichiari accusato di omicidio volontario plurimo. Per l’accusa, che ne aveva chiesto la condanna a 24 anni, era stato Mosca ad aver iniettato a tre pazienti affetti da Covid, Succinilcolina e Propofol, farmaci incompatibili in assenza di intubazione, e letali in quanto inducono il blocco dei muscoli e l’arresto respiratorio. Il pm Federica Ceschi aveva creduto ai due infermieri Michele Rigo e Massimo Bonettini, che avevano puntato il dito contro il primario. Ma in aula medici e colleghi li hanno smentiti, e la Corte, oltre ad assolvere l’imputato, ha disposto la trasmissione degli atti alla procura nei confronti dei due accusatori con l’ipotesi di reato di calunnia.
“Equivoci” fra la Morfina e la Succinilcolina, “tesi, supposizioni e sospetti” hanno costituito la “linfa vitale che ha cristallizzato un’accusa calunniosa di omicidio, tanto più infamante in quanto rivolta ad un medico”. Quanto alle “voci” che Bonettini intendeva accreditare, dall’istruttoria dibattimentale è emerso che “era stato proprio lui stesso, insieme al collega Rigo, a diffondere nell’ambiente dell’ospedale le congetture colpevoliste. Anche la testimonianza di Rigo, che ha costituito unitamente a quella di Bonettini uno dei pilastri portanti dell’accusa, evidenzia faglie storiche e logiche che ne minano in radice l’attendibilità”. Nella motivazione, di 104 pagine, i giudici parlano di “una manovra di accerchiamento in danno del primario, arrivando perfino a costruire prove false per comprometterne in modo irrimediabile la posizione”, e di un “subdolo agire sottotraccia”. Ma il tentativo dei due infermieri di coinvolgere i colleghi “si è dimostrato del tutto infruttuoso”. Le prove, “come d’incanto”, scrivono i giudici, “si sono materializzate all’interno di un cestino di rifiuti, dove sono state rinvenute due fiale vuote di Succinilcolina ed una di Propofol”. “Vi è da ritenere”, secondo la Corte, “sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, che siano proprio stati Rigo e Bonettini a confezionare ad hoc la falsa prova”. Le prove a disposizione, inoltre, hanno indotto i giudici a ritenere che nel paziente Angelo Paletti, l’unico nel cui cadavere erano state trovate tracce di Propofol, il farmaco “sia stato somministrato quando era già morto”.
Per quanto riguarda il movente, la Corte ha concluso che quanto detto da Bonettini (‘Io non ci sto a uccidere pazienti solo perché lui vuole liberare letti’) , e cioè che Mosca intendeva contenere l’affollamento di pazienti in Pronto Soccorso, “si è dimostrato totalmente infondato”. Nel processo, il carabiniere Cesare Marchini, in servizio al Nas di Brescia, ha infatti precisato che a Montichiari nei giorni delle morti sospette, la situazione emergenziale non era peggiore rispetto a quella di altri Presidi Sanitari, tanto che non vi era stata la necessità di dirottare pazienti su altri ospedali. Anche Raniero Rizzini, responsabile Soreu, tra il 20 ed il 22 marzo 2020, pur essendo stati inviati a Montichiari 38 degenti, l’ospedale non era stato classificato tra quelli “di transito”, dato che non era uno dei presidi più sotto pressione. “In antitesi con quanto propalato dal Bonettini, l’istruttoria dibattimentale ha dimostrato che non solo il dott. Mosca non aveva la vocazione di liberarsi di pazienti moribondi, ma che, al contrario, era animato da propositi conservativi”.
“Se agli albori”, scrivono i giudici, “si poteva ipotizzare che Rigo e Bonettini fossero semplicemente persone poco avvedute, animate da un malinteso sentimento etico che li aveva spinti ad ergersi a paladini di una nobile causa – tanto più nobile poiché li contrapponeva al proprio primario -, non appare giustificabile la successiva adesione acritica e fideistica alle proprie elucubrazioni. Inescusabile appare poi, in ogni caso, l’escamotage cui sono ricorsi per cementare le loro accuse e, soprattutto, imperdonabile la malevola fabbricazione di prove false”.
Riguardo, invece, l’intercettazione ambientale registrata il 2 luglio del 2020 nell’area fumatori dell’ospedale di Montichiari nella quale si sentirebbe l’ex primario rispondere ‘Eh sì’ ad una domanda del collega Riccardo Battilana che gli aveva chiesto se davvero avesse iniettato Succinilcolina e Propofol ai pazienti, i giudici scrivono così: “Il dato non è destinato ad assumere rilevanza ai fini dell’economia complessiva del processo, non solo perché si è pur sempre in presenza di un apprezzamento avvolto da una patina di incertezza, ma soprattutto in quanto la lettura della vicenda nel contesto in cui è maturata trova una differente spiegazione rispetto a quella della confessione extragiudiziale. La lettura dell’intercettazione rivela che in realtà il dott. Battilana non aveva affatto compreso il tema del colloquio, tanto da non avervi dato importanza e da non averne conservato memoria”.
Complessivamente, i magistrati della Corte d’Assise definiscono “grave il danno provocato all’immagine del Pronto Soccorso di Montichiari e alla serenità del personale, a causa del clima di sfiducia creatosi all’interno del presidio ospedaliero. Di enormi proporzioni è stata soprattutto l’afflizione arrecata all’imputato, che ha patito un ingiusta e prolungata limitazione della libertà personale e rischiato di subire una condanna all’ergastolo, con gravissime ripercussioni sul piano sia umano che professionale, cui il verdetto assolutorio può porre solo parziale rimedio”.
Sara Pizzorni