Cantiere di via santa Croce, l'impresa
minaccia esposto a Corte dei Conti
Due versioni contrastanti e 16 anni di controversie giudiziarie tra Aler e la Socim Spa di Napoli che nel 2006 aveva vinto l'appalto per la ristrutturazione di 16 alloggi
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Cantiere fantasma di via santa Croce, tra la ferrovia e via Ghinaglia ancora fermo: di chi è la responsabilità? Tra la proprietà, l’azienda regionale per l’edilizia residenziale pubblica e la società che a suo tempo aveva vinto l’appalto, la Socim Spa di Napoli, il contenzioso è tutt’altro che finito col risultato che i 16 alloggi destinati alle fasce più deboli della popolazione sono ferme e degrado e sporcizia invece avanzano sempre più.
A 16 anni dall’assegnazione dei lavori è Antonio De Rosa, amministratore delegato della Socim a farsi avanti per denunciare la situazione di stallo “di un appalto che ha come data il 2006 e che ci ha visto coinvolti in innumerevoli anni di Giudizi, tutti sempre vinti dalla sottoscritta impresa perché i Giudici hanno riconosciuto dove erano i torti reali, addirittura con delle CTU che riportano giudizi impietosi sulla inconsistenza della progettazione esecutiva dell’opera”.
Secondo la ricostruzione di De Rosa, la vicenda giudiziaria sembrava essersi chiusa con “l’ultimo giudizio che ha riconosciuto nell’Aler la responsabile degli anni di degrado e abbandono degli immobili”. Ma ancora oggi “Aler propone appello a tale ultima sentenza (…) e saranno spesi per la fattispecie, molti altri quattrini (per spese giudizio, legali, consulenti, etc.)”. Secondo De Rosa, Aler si sarebbe dovuta a suo tempo fare carico di riprendere in mano la custodia dell’immobile, che invece ha subito un continuo degrado. Un immobile “ancora in piedi perché all’interno vi sono ancora tutti i puntellamenti che ha installato provvisoriamente la Socim Spa SpA nel lontano 2007 e che non sono mai stati restituiti dall’Aler”, afferma De Rosa.
Dunque adesso il nodo del contendere sembra essere chi debba essere considerato custode del cantiere. Su questo poggerebbe l’appello promosso da Aler. La Socim da parte sua annuncia di voler interessare la Corte dei Conti per valutare un eventuale danno all’erario.
LA VERSIONE DI ALER – Naturalmente Aler la vede in tutt’altro modo. Attraverso il suo ufficio legale, fa sapere che “con l’intervenuta risoluzione del contratto di appalto per effetto della sentenza emessa dal Tribunale di Cremona nel 2014, una volta passata in giudicato (04.05.2015), fosse venuto meno ogni diritto dell’appaltatrice Socim alla ritenzione dell’area di cantiere e, nel contempo, fosse sorto in capo alla stessa l’obbligo di farne riconsegna alla Stazione Appaltante. Il che non è avvenuto.
E’ stata infatti una precisa scelta di Socim quella di non rilasciare il cantiere ad Aler fintanto che rimaneva pendente tra le parti la causa civile; dove peraltro Socim – giova forse evidenziarlo quantomeno per “onore di cronaca” – è rimasta sostanzialmente soccombente in ordine alle rilevanti pretese economiche anche di danno ivi avanzate.
Così com’è stata una precisa scelta di Socim quella di abbandonare il cantiere con le proprie maestranze, omettendo da allora qualsivoglia attività di controllo e guardiania, una volta promossa nell’anno 2006 la causa civile risolutoria”.
A gennaio di quest’anno, l’Aler si è vista respingere con sentenza civile la domanda di risarcimento, “ma è altresì vero che, nel contempo, (il Tribunale, ndr) ha anche respinto la domanda di Socim tesa a vedersi riconoscere una ingente somma di denaro quale corrispettivo per il nolo, nel periodo considerato, dei suoi puntelli, ponteggi ed apprestamenti di sicurezza rimasti nel cantiere”.
Secondo Aler ad ogni modo, il tribunale “ha riconosciuto sia la sussistenza di un’obbligazione contrattuale di custodia in capo a Socim, sia la sua conseguente responsabilità in merito ai danni verificatisi”, pur respingendo la richiesta danni da parte dell’azienda pubblica (e di qui l’appello della stessa).
Insomma un groviglio giudiziario in cui ci sono solo due certezze: un angolo di città sporco e degradato da troppi anni, con conseguente rischio igienico e ambientale; e l’indisponibilità di un bene primario come la casa per le fasce che ne hanno bisogno. gbiagi