Cassaforte sparita dal carcere
"Ero il gestore, non il ladro"
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Si è difeso, oggi, davanti al collegio dei giudici, Francesco Palmieri, 52 anni, l’ex assistente capo della polizia penitenziaria di Cremona accusato del furto della cassaforte dal carcere di Cremona avvenuta nell’ottobre del 2018. Una cassaforte del peso di circa 70 chilogrammi che era stata portata via di peso dall’ufficio del gestore. All’interno c’erano 7.500 euro, l’incasso di qualche settimana destinato all’Ente di assistenza per il personale dell’amministrazione penitenziaria. Non si sa con certezza il giorno e l’ora del furto. Chi lavorava all’interno del penitenziario se n’era accorto il 23 ottobre del 2018.
Oggi è stata sentita la versione dell’imputato, dal 2016 al 2018 gestore del bar. “Gli incassi giornalieri venivano registrati sul portale del Ministero e i contanti riposti nella cassaforte”, ha spiegato Palmieri. “I conteggi erano regolari e il denaro veniva portato in banca”. Attualmente in aspettativa speciale, l’imputato era già stato congedato per malattia (ha un’invalidità passata dall’85 al 70% e una protesi all’anca), ma era comunque andato avanti a svolgere la parte burocratica. La chiave della cassaforte, Palmieri l’aveva ereditata nel 2016 dal gestore uscente. Di quella chiave c’era una copia, mentre due erano le copie della chiave della stanza.
Il 19 ottobre del 2018, Palmieri, in congedo per malattia, si era recato in carcere per consegnare tesserino e pistola. Quel giorno era stato inquadrato dalle telecamere in entrata alle 19,12 e in uscita alle 19,40, e poi ancora in entrata alle 20 e in uscita alle 20,12: l’imputato ha spiegato di essere tornato a casa a prendere una valigia per poter ritirare tutti i suoi effetti personali. Dai tabulati telefonici, alle 21,28 il suo cellulare aveva agganciato la cella a San Daniele Po, vicino alla discarica. Il sospetto è che il furto possa essere stato compiuto la sera del 19 ottobre e che l’imputato si trovasse alla discarica per disfarsi della cassaforte. Ma Palmieri, a domanda del pm, ha negato di essere mai andato alla stazione ecologica.
Il 23 ottobre successivo l’ex agente era tornato in segreteria per completare le pratiche per il passaggio al ruolo civile. Quello stesso giorno l’assistente capo Danilo Tirelli, responsabile della manutenzione, si era recato nella sala conferenze, proprio di fronte alla porta dell’ufficio del gestore, per controllare una perdita d’acqua. In quel momento si era accorto che la porta era scardinata. Era subito andato a chiamare il collega, ufficialmente ancora gestore dell’ufficio, che aveva preso le chiavi dall’auto e aveva aperto la porta. “Quando siamo entrati”, ha raccontato Palmieri, “abbiamo visto che la cassaforte non c’era più. Nel posto dove era ancorata c’erano tre fori, il muro era come bagnato, c’era odore di acido e per terra c’era un lenzuolo”.
In aula è stata sentita anche la testimonianza dell’assistente capo della Polizia di Stato Giovanni Ruggero, che si era occupato dei rilievi tecnici. L’esperto ha parlato della presenza di segni di scasso sulla porta e di segni di scalfittura nello spazio dove si trovava la cassaforte, “come se fosse stata sradicata”. Sul muro, erano state rilevate colature di un liquido lubrificante e per terra un lenzuolo, “come se fosse stato posizionato per attutire la caduta della cassaforte”. Erano state trovate impronte, ma, come ha precisato il testimone, “non sono risultate utili”.
Francesco Palmieri è assistito dall’avvocato Luca Curatti. Secondo la difesa, l’imputato, visti i suoi problemi di invalidità, non avrebbe potuto fisicamente impossessarsi di una cassaforte così pesante. “Per trasferirla da un ufficio all’altro”, ha ricordato il legale, “c’erano volute tre persone”. Fondamentale, per la difesa, è stata ritenuta la testimonianza dell’assistente capo Ruggeri, che ha parlato di segni di scasso. “Palmieri aveva le chiavi, dunque per quale motivo avrebbe dovuto scassinare porta e cassaforte?”.
La sentenza sarà pronunciata il prossimo 18 ottobre.
Sara Pizzorni