A processo "compromessi i diritti
dell'imputato". Penalisti in sciopero
L’Unione delle Camere Penali Italiane denuncia “la compromissione del diritto dell’imputato ad essere giudicato dal medesimo giudice che ha raccolto la prova in dibattimento”, e proclama l’astensione degli avvocati penalisti nei giorni 27 e 28 giugno per “chiedere un immediato intervento legislativo a salvaguardia della concreta attuazione dei principi cardine del giusto processo”. I penalisti, come hanno sottolineato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane, e il presidente dell’Unione Camere Penali di Cremona e Crema Alessio Romanelli, chiedono che sia tutelato il “diritto fondamentale dell’imputato ad essere giudicato dallo stesso giudice che ha raccolto la prova”.
Caiazza, in un intervento a Radio Radicale, ha citato il celebre processo da poco concluso in America tra l’attore Johnny Depp e l’ex moglie Amber Heard, chiedendo di immaginare questo scenario: “Dopo decine di udienze nel corso delle quali la giuria popolare ha ascoltato decine di testimoni e consulenti, scrutando espressioni, imbarazzi, contraddizioni, cambia improvvisamente per qualsiasi ragione la giuria popolare e viene sostituita da altra giuria popolare. A pronunciare la sentenza saranno dunque persone diverse da quelle che hanno sentito i testimoni. I nuovi giurati giudicheranno leggendo i verbali di tutte le udienza precedenti alle quali non hanno partecipato”.
Per i penalisti, il giudice che ha raccolto la prova deve essere anche colui che emette la sentenza, in quanto “nessuna lettura potrà mai prevalere all’ascolto diretto, personale, fisico dei testimoni”. E se il giudice dovesse cambiare, “il processo va ripetuto, che è ciò che il nostro codice di procedura penale prevede”. Una norma che secondo L’Unione delle Camere Penali Italiane “è entrata nelle mire della magistratura italiana che l’ha sempre vista come il fumo negli occhi perché sarebbe una norma all’origine di inaccettabili rallentamenti del processo.
E’ iniziata una giurisprudenza interpretativa di una norma che invece è chiarissima, che non lascia alcun margine di interpretazione: interpretazione culminata in una sentenza delle Sezione Unite della Corte di Cassazione che ha letteralmente riscritto quella norma, fissando il principio inverso. Se cambia il giudice, la regola è ora che il processo va avanti lo stesso, le parti possono eventualmente chiedere che questo o quel testimone o che un nuovo testimone debba essere sentito, ma badino bene di motivarlo con chiarezza, altrimenti non se ne fa nulla.
Quella sentenza è andata non solo contro l’inequivoca testualità della norma, ma anche contro un pronunciamento della stessa Corte Costituzionale che almeno subordinava la legittimità del cambio del giudice all’esistenza, per esempio, di videoregistrazioni di udienze in modo che almeno il nuovo arrivato se le dovesse guardare. Il risultato di quella sentenza delle Sezioni Unite è un autentico disastro.
Assistiamo quotidianamente a collegi che cambiano in corso di giudizio, magari dopo decine di udienze, di testimoni escussi dal presidente senza che nessuno sia tenuto ad alcuna giustificazione, perché questo è l’aspetto più odioso: che le esigenze personali , di carriera, familiari, occasionali del giudice prevalgono sul diritto dell’imputato ad essere giudicato dallo stesso giudice che ha raccolto la prova. E’ un fatto di una gravità inaudita, un malcostume inaccettabile, una manifestazione di tracotanza corporativa davvero senza eguali”.
“Perciò scioperiamo”, dichiarano i penalisti, chiedendo alla ministra Cartabia di “intervenire in modo efficace nei decreti delegati dove si è inserita la videoregistrazione come condizione di legittimazione del cambio del giudice, ma al momento senza alcuna garanzia nemmeno che il nuovo giudice se la vada a vedere davvero. Occorre anche prevedere uno specifico intervento normativo che imponga al magistrato che voglia trasferirsi ad altro ufficio o ad altra sede, di poterlo fare solo dopo aver esaurito il ruolo delle udienze che ha già iniziato. Ancora una volta parliamo di diritti fondamentali della persona ed è una battaglia che vogliamo vincere”.
Sara Pizzorni