"Frustata da mio padre e costretta
a fidanzarmi con un connazionale"
Il padre della ragazza e il pretendente albanese
a processo per maltrattamenti e violenza sessuale
Di maltrattamenti e concorso in violenza sessuale è accusato un padre albanese che avrebbe alzato le mani sulla figlia, minacciata di morte e obbligata a fidanzarsi con un connazionale, quest’ultimo a processo per il solo reato di violenza sessuale. Oggi in aula ha testimoniato la presunta vittima, oggi 22 anni, all’epoca dei fatti appena maggiorenne, da 15 anni residente a Cremona. Violenze che a detta della giovane sarebbero cominciate già a otto anni. “Ero in quarta elementare”, ha raccontato la ragazza, “dovevo andare all’oratorio con degli amici, ma era chiuso, così mi hanno invitato a casa loro. Quando mio padre mi ha trovata, mi ha frustato sulla schiena con un frustino” (nel capo di imputazione si parla di un ramoscello).
Un rapporto difficile, quello con il padre, uomo di campagna e osservante delle tradizioni del paese di origine, proseguito anche nell’età dell’adolescenza. “Ero controllata in modo opprimente”, ha raccontato la ragazza, “non avevo il telefono, dopo la scuola dovevo tornare a casa, non uscivo mai”. All’ultimo anno delle superiori, la giovane aveva trovato anche un lavoro serale in una catena di ristoranti. “Ma il mio stipendio dovevo darlo a mio padre”.
Nell’aprile del 2019, raggiunti i 18 anni, la ragazza ha raccontato che il padre le aveva fatto conoscere un connazionale. “Diceva che era ora che mi facessi una famiglia, che avrei dovuto sposarmi, ma io non ero d’accordo e lui mi ha minacciata. “Se non fai quello che ti dico ti ammazzo e poi mi uccido”, le avrebbe detto il padre, che il 3 maggio di quello stesso anno in camera sua le avrebbe tolto il telefono, afferrata per i capelli e colpita con un calcio, fino a farla cadere a terra. All’epoca la giovane era attratta da un coetaneo. “Lui mi piaceva, ma non era delle mie parti e mio padre non approvava”, ha raccontato lei, dicendo che il padre aveva preso il telefono e aveva minacciato il ragazzo: “Stai lontano da mia figlia se non vuoi morire”.
Nella sua testimonianza, la presunta vittima è comunque apparsa alquanto riluttante nell’entrare nel merito dei vari episodi, tanto che il pm Francesco Messina è intervenuto spesso per ricordarle quanto aveva riferito in denuncia all’epoca dei fatti. Anche dal giudice, perplesso dei tanti non ricordo, è arrivato un richiamo a dire la verità.
La giovane, che ha sostenuto di comprendere l’albanese ma di parlarlo pochissimo, ha poi ricordato di quando il padre aveva prenotato una stanza in un albergo di Cremona per lei e per il suo pretendente albanese, che invece non parla l’italiano. “Lì abbiamo avuto un rapporto sessuale, eravamo entrambi alla prima esperienza”, ha raccontato lei. Nei giorni successivi, la famiglia aveva ospitato il ragazzo nella loro casa. “Io e lui abbiamo avuto altri rapporti nella camera dei miei genitori, mentre loro dormivano in salotto”. “Tu dormi con lui perchè ormai sei sua”, le avrebbe detto il padre, e lei non avrebbe avuto la forza di reagire per paura della reazione del genitore, spalleggiato dalla moglie. “Ho dovuto anche accettare l’anello di fidanzamento”, ha ricordato la ragazza, che per il fidanzato ha detto di aver provato solo indifferenza. “Lo faccio per te”, le avrebbe detto ancora una volta il padre, colpendola sulle gambe con un frustino di legno, “affinchè tu ti possa creare una vita migliore”.
Alla fine la giovane si era confidata con una sua professoressa. Della sua situazione familiare, oltre alla scuola, si erano interessati i servizi sociali, una psicologa e il personale della polizia municipale specializzato in violenze in famiglia.
Le sue insegnanti si erano insospettite per via delle lunghe assenze da scuola, e così avevano contattato la famiglia. “Il padre”, ha raccontato oggi una delle insegnanti chiamate a testimoniare, “ci ha detto che non sarebbe più venuta in quanto si stava per sposare”. La professoressa ha parlato di comportamenti anomali da parte della giovane: “era a disagio, cupa, tremava ed era agitata”. Dopo aver sporto denuncia, la ragazza era stata ospitata in una comunità. “La studentessa”, ha riferito l’insegnante, “ha sostenuto gli esami in una condizione protetta”.
Attualmente la ragazza ha un lavoro e frequenta un connazionale residente in Italia. “L’ho scelto io”, ha sottolineato. “Dopo la terapia dalla psicologa sono riuscita ad instaurare un rapporto più aperto con i miei familiari. Ora anche con mio padre i rapporti sono più tranquilli”.
Nel processo, il giovane albanese è assistito dall’avvocato Sonia Giulianelli, mentre il padre della 22enne dal legale Stefania Giribaldi. Secondo la difesa, nè il padre, nè tantomeno il ragazzo, avrebbero costretto la giovane a far nulla che lei non volesse. La ragazza, secondo i due legali, aveva la disponibilità di un bancomat e la libertà di uscire. Il telefono le sarebbe stato requisito solo perchè lo usava per ascoltare la musica in classe e il presunto pretendente albanese non le sarebbe stato presentato dal padre, ma lo avrebbe conosciuto prima. A testimoniarlo ci sono delle chat. Altri testimoni verranno sentiti nel corso della prossima udienza, fissata al 15 novembre.
Sara Pizzorni