Cronaca

Area Donna, il racconto di una
paziente: "Spezzata la nostra routine"

In cura dal 2014, P.M. ha conosciuto la Breast Unit prima che diventasse Area Donna e la sta vivendo ora che è stata accorpata ad Oncologia.
Superate questa mattina le 2500 firme alla petizione lanciata su change.org

La sala delle terapie a Oncologia

La riorganizzazione in corso al quarto piano dell’ospedale di Cremona si scontra con l’esperienza concreta di chi da anni è in cura contro il cancro e da qualche mese si è visto togliere una routine che in qualche modo alleggeriva il carico delle terapie. P.M., 58 anni, è una delle pazienti in cura ad Area Donna. Con grande forza e dignità, ha accettato di raccontarci i cambiamenti in atto con lo spostamento delle terapie endovenose nel reparto di Oncologia, situata dalla parte opposta del monoblocco rispetto ad Area Donna.

“Era nell’aria da tempo. Le infermiere lo dicevano che prima o poi sarebbe cambiato qualcosa e so che qualche medico era andato più volte a battere i pugni sul tavolo. Ma ci dicevano anche che per noi pazienti non sarebbe cambiato niente. Invece non è così”.

Un salto all’indietro. Otto anni fa, nel 2014, durante un controllo di routine, la radiologa Cristina Marenzi riscontra qualcosa che non va in una mammella di P.M. Era una paziente a rischio e per questo si controllava ogni sei mesi. Area Donna non esisteva ancora, ma stava nascendo la Breast Unit. La diagnosi è certa, parte il primo ciclo di sette chemio, prima dell’intervento; e dopo altre 18, più leggere, cosiddette di mantenimento. Le sta vicino il dottor Allevi, la rassicura, la tranquillizza durante i periodi di depressione. Viene il momento della chirurgia ricostruttiva, non uno, ma quattro interventi in anestesia totale: non è una cosa semplice, perchè la terapia ha troppo indebolito il tessuto e occorre praticare due autotrapianti di tessuto adiposo, per potere procedere. Nel 2017, finalmente, l’ultima operazione.

Passa circa un anno di relativa tranquillità, finchè nel 2018 P. riscontra un rigonfiamento a un occhio. E’ il segnale di una recidiva, gli esami lo confermano, il tumore si è ripresentato nel fegato e nelle ossa. E si riparte con le chemioterapie, stavolta in Area Donna, nata da poco. Decide di lasciare il posto di lavoro: “Mi sono vista i giorni contati e di conseguenza sono stata a casa con mio marito e mio figlio”.

La terra sembra cedere sotto i piedi, ma la vita di P. ha dei punti fermi. Uno di questi è la terapia, ogni tre settimane, in Area Donna, dove quando viene il proprio turno le infermiere la chiamano per nome. Il ritmo è scandito 1 – 21, i giorni del mese in cui sul calendario, a inizio anno. P.M. segna tutti i giorni in cui sa che deve presentarsi per le cure salvavita. Alle 8 di quei martedì si presenta al quarto piano, le prelevano il sangue, attende la visita del medico. Quindi, se tutto va bene, si sposta nella saletta delle terapie – esclusiva per le donne, 1o lettini nuovi –  dove resta circa tre ore. A metà pomeriggio torna a casa. E’ andata avanti così per tre anni circa, tra primo e secondo intervento, oltre 80 chemio.

“Ormai – ci racconta tornando al presente – era diventato come se fossi a casa mia, noi donne ci conoscevamo tutte, si riusciva anche a ridere e scherzare. Con le altre donne, nella stanza, chiacchieravamo del più e del meno. Questa routine faceva parte della mia vita. Da inizio anno tutto è cambiato. Adesso per fare il prelievo, ti chiamano con un numero, giustamente perchè i pazienti sono tanti. Le sale d’attesa sono pienissime, si sta in piedi in corridoio, uomini, donne, giovani, vecchi, non si parla più, tranne con qualcuno che si conosce. Si attende la visita del medico, che a volte è solo uno ed è in difficoltà. Certo, ci sono ancora le nostre due dottoresse che ci seguivano in Area Donna, ma sono stanche, devono fare le notti, come anche prima per la verità, ma speravano in un aiuto che per ora io non ho visto”.

Esami del sangue e terapia vengono eseguiti in due giorni diversi, nel nuovo corso. E se prima l’appuntamento veniva fissato direttamente volta per volta, ora invece si viene ricontattati per telefono per conoscere giorno e ora. “La telefonata arriva tra le 16 e le 18 del giorno degli esami, e assicuro che non è una bella attesa. E poi ci sono problemi pratici: ho una amica che sta a Malagnino, non ha la patente e deve farsi accompagnare  dall’Auser. Sta trovando molta difficoltà perche quando l’ospedale la chiama l’Auser ha già chiuso. Forse le andranno incontro, ma al momento non so”.

La routine della cadenza trisettimanale, essendo aumentati i pazienti, non è più garantita: da qualche giorno P.M. è stata ricontattata per anticipare la terapia dal 19 aprile, già fissato, al 15, subito dopo gli esami ematici, ma trattandosi di terapie debilitanti, ha intenzione di opporsi ad una somministrazione così ravvicinata alla precedente. “Capisco le esigenze organizzative perchè è evidente che le poltrone dell’unica sala dove vengono fatte le terapie, a noi e a tutti gli altri,  sono tutte piene. Ma non ci stanno iniettando dell’acqua, perchè devo anticipare di quattro giorni, con accumulo di farmaci, quando di là ci sono 10 poltrone vuote, dieci pompe per le flebo vuote? La sala chemio adesso sembra una catena di montaggio, ci saranno 15, 16 poltrone. A volte ti mettono  in una stanzina a due letti, e lì ti senti proprio ammalata …. L’ultima volta ero a fianco di una ragazza che dopo 12 anni di terapie – mi raccontava – ‘non c’è più niente da fare’. Ho passato tutto quel giorno con un’angoscia pazzesca, chiedendomi come sarò io quando arriverà il mio momento. In Area Donna non sarebbe mai successo”.

La riorganizzazione in corso – ha spiegato più volte il direttore di Oncologia Rodolfo Passalacqua durante gli incontri in Comune – mira ad estendere il modello Area Donna a tutti malati di tumore in cura all’ospedale. Ad assicurare a tutti elevati standard di cura inserendo i pazienti nei protocolli di ricerca clinica. Per il momento, tuttavia, l’unico effetto è stato quello di togliere quel modello di cura alle donne con cancro al seno. La speranza è che la riorganizzazione consenta di ripristinarlo, mentre nel frattempo la petizione lanciata venerdì su change.org dal Comitato Rivogliamo Donna ha superato le 2500 firme. gbiagi

 

 

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