La guerra ci riporta con i piedi per terra:
la produzione di cibo non è scontata
La drammatica situazione in Ucraina potrebbe portare ad una revisione della politica agricola comunitaria e nazionale
La drammatica situazione in Ucraina, oltre agli aspetti umanitari, sociali e morali, ha ed avrà delle gravi conseguenze politiche ed economiche su tutti noi. In Europa si viveva in pace da oltre settanta anni e in questo periodo si sono poste le basi per uno sviluppo democratico e di civiltà con una crescita costante dell’economia e della politica arrivando a costituire un’Unione europea, pur con un progetto imperfetto, che vede la presenza di ben 27 paesi.
In questa Europa, quasi nessuno si ricorda più di uno dei fabbisogni primari della nostra esistenza: la nutrizione. La disponibilità di cibo di buona qualità, abbondante e dai costi contenuti è quasi diventata un fatto scontato, dovuto. Con la conseguenza che spesso si è perso il senso del valore della catena del cibo e della sua provenienza dal lavoro dell’uomo nei campi.
L’agricoltura è stato uno dei settori economici su cui si è basata l’integrazione europea al punto da diventarne uno dei comparti su cui si è sviluppato un progetto comune: la Politica agricola europea (Pac) nei suoi vari passaggi e nel suo rinnovarsi nei diversi periodi di programmazione è stata un suo profondo collante non solo di sviluppo economico ma anche sociale. Politica di successo se si considera che la spesa alimentare delle famiglie è oggi intorno al 20% del proprio reddito.
Ma sempre più spesso l’agricoltura viene vista al di fuori del suo contesto naturale cioè quello ambientale. Le si contestano aspetti legati all’inquinamento di terra, acqua e aria. E di produrre cibi ricorrendo a mezzi di produzione contaminati, criminalizzando la chimica; si è sviluppata una ricerca affannosa di prodotti naturali e biologici, andando anche oltre ogni logica per non dire del valore nutritivo. Non si tende a considerare che, se la vita media in Italia ed in Europa negli ultimi settanta anni ha raggiunto e superato gli ottanta anni, buona parte del merito deve essere ascritto al cibo migliorato e disponibile, insieme ai progressi della medicina e delle condizioni ambientali di vita.
La stessa Pac è stata in parte coinvolta in questo mutamento di visione: non più una politica esclusivamente agricola, ma una politica agricola, ambientale e sociale ad un tempo. L’ultima versione della Pac, che entrerà in vigore dal primo gennaio 2023, comporta una serie di condizionamenti per i produttori agricoli con un forte impatto sulla loro attività e sulla loro redditività. Ne citiamo solo alcuni: riduzione dell’uso dei farmaci in zootecnia, in particolare gli antibiotici, norme sul benessere animale, diminuzione del 50% dell’uso degli agrofarmaci, aumento delle superficie coltivate con metodo biologico e il tutto con una riduzione dei sostegni alla parte produttiva dell’agricoltura. Tutto ciò con una forte ripercussione sulle rese produttive. La Pianura padana rischia di essere colpita duramente da queste misure.
Adesso, corriamo il rischio di un brusco risveglio: la guerra in Europa ci riporta con i piedi per terra. La carenza di materie prime in generale e di prodotti alimentari come i cereali o come alcuni dei principali fattori di produzione come i fertilizzanti e dell’energia, l’incremento straordinario del loro costo potrebbero rimettere in discussione la facile disponibilità di alimenti ed il loro costo. Potrebbe essere che il loro valore, sia all’interno delle diverse filiere agroalimentari, che nel più ampio contesto sociale, venga riconsiderato e che si debba ricorrere a soluzioni di emergenza. Se il governo sta valutando di rimodulare il progetto di transizione ecologica, pensando addirittura di ricorrere alla riapertura delle centrali a carbone, è evidente che si potrebbe rendere necessario anche il ricorso ad una revisione della politica agricola, comunitaria o meno che sia.