Bimba nata morta, in aula il
trauma raccontato dai genitori
A processo per omicidio colposo
c'è la ginecologa Alessandra Scarpa
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Un racconto sofferto e denso di emozione, quello raccontato questa mattina nell’aula penale del tribunale di Cremona da mamma Nicoletta e papà Antonio, che quattro anni fa attendevano con ansia di diventare genitori del loro primo figlio, una bimba. Un sogno, il loro, diventato presto un incubo. La loro bimba è nata morta. Con l’accusa di omicidio colposo è iniziato il processo nei confronti di Alessandra Scarpa, ginecologa all’epoca in servizio all’ospedale di Cremona. Il medico è assistito dall’avvocato Diego Munafò, mentre Nicoletta e Antonio, entrambi 40enni, sono parte civile attraverso il legale Marcello Lattari.
Per la procura, il medico avrebbe provocato la morte del feto partorito da Nicoletta che si trovava alla quarantesima settimana di gravidanza. La donna era stata visitata sia il 31 dicembre del 2018 che il primo gennaio del 2019, ma secondo l’accusa, nonostante dagli esami fossero emerse una riduzione del liquido amniotico, una riduzione della crescita del feto e alterazioni della glicemia nella mamma, il medico non aveva ritenuto di ricoverarla, omettendo ulteriori approfondimenti e uno stretto monitoraggio del feto, morto il 3 gennaio del 2019. Per il pm Vitina Pinto, se ci fosse stato un ricovero, alle prime avvisaglie di sofferenza del feto sarebbe stato possibile procedere con l’induzione del parto o al parto cesareo.
“La mia è stata una gravidanza cercata e voluta”, ha ricordato Nicoletta in aula. “Una gravidanza trascorsa senza alcun problema”. Il termine, per lei, era il 30 dicembre 2018. Il 31 si era recata in ospedale, sempre accompagnata dal compagno, diventato suo marito nel giugno del 2019, dove era stata sottoposta a monitoraggio, ad un’eco e a una visita ginecologica. Per la ginecologa Alessandra Scarpa, tutto era a posto, ma il papà aveva notato dall’ecografia che “la bimba muoveva la bocca. Aveva la lingua fuori, era come se avesse sete”, ha raccontato Antonio. Il consiglio della ginecologa per la mamma era stato quello di bere più acqua. Altra visita il primo gennaio 2019. Tutto come il giorno prima. E a Nicoletta era stato dato un altro appuntamento per il 3 gennaio.
La mattina presto di quel giorno la donna aveva cominciato a sentire “contrazioni abbastanza regolari ma distanziate nel tempo, poi più ravvicinate, con la perdita di un liquido rossastro”. “Abbiamo deciso di andare in ospedale”, ha raccontato Nicoletta. “La bimba l’ho sentita fino a quando siamo arrivati al pronto soccorso”. In reparto, a Nicoletta era stato fatto un monitoraggio e poi un’eco. “Ho percepito che qualcosa non andava”, ha ricordato la donna. “Non c’era più battito”.
“E’ stato un trauma”, ha detto la mamma. “Mi sono sentita come paralizzata, è stato come vivere la vita di qualcun altro. Piangevo disperata, mentre mio marito ha avuto una reazione fisica”. La reazione fisica di cui ha parlato Nicoletta è costata a suo marito un procedimento penale che lo vede imputato di lesioni per aver sferrato un pugno al primario del reparto Aldo Riccardi, che contro Antonio ha sporto querela. In ospedale erano arrivate le forze dell’ordine che avevano accompagnato il papà fuori dalla struttura. Nicoletta, intanto, era rimasta sola. “Per un tempo infinito”, ha ricordato la donna. “Ero disperata e sentivo dolore, ho suonato il campanello ma non si è visto nessuno”.
A casa, la coppia aveva già preparato la cameretta per la loro bimba. “Al nostro rientro”, ha raccontato Nicoletta, “tra me e mio marito si è alzato un muro. Abbiamo avuto un modo di reagire diverso. E’ stato un incubo che non finiva mai. Non avevo voglia di fare nulla, piangevo e non riuscivo a dormire, è stato così per tanto tempo. Nella stanza della bambina non sono entrata per mesi e mesi, fino a quando abbiamo deciso di chiedere aiuto psicologico”. Oggi Nicoletta e Antonio sono i genitori di un maschietto di due anni. “Il tempo aiuta”, ha detto lei, “ma non ci si dimentica. Io mi ritengo ancora la mamma di due bambini”.
“Ci ha sempre detto che andava tutto bene”, ha riferito a sua volta il marito Antonio, parlando della ginecologa. E sulla sua reazione alla notizia della morte della bimba ha ammesso di aver dato un pugno alla tastiera di un computer e uno schiaffo al primario. “Sono una persona umana, gli ho dato uno schiaffo perchè lui mi ha strappato i fogli che avevo in mano senza nemmeno chiedermi come stava mia moglie. Poi le forze dell’ordine mi hanno scortato fuori, e dopo mezzora sono rientrato in reparto trovando mia moglie da sola. Due ore dopo le hanno fatto il cesareo”. Drammatici anche i momenti del periodo successivo. “Io non tornavo più a casa dopo il lavoro”, ha continuato a raccontare Antonio, che fa il camionista. “Non tornavo neanche dopo il matrimonio, che era già stato programmato. Mia moglie era sempre sul divano, sembrava un vegetale”.
In origine, da parte della procura c’era stata una richiesta di archiviazione del procedimento, richiesta alla quale l’avvocato di parte civile Lattari non si era opposto. Sia i consulenti della procura che i consulenti di parte, infatti, pur riconoscendo la sussistenza di un’imprudenza da parte del medico sul mancato ricovero, non hanno dato certezze sul fatto che la morte del feto, dovuta alla costrizione del cordone ombelicale, si sarebbe potuta evitare anche con il ricovero.
Il gip, però, non era stato dello stesso avviso, ritenendo, sulla scorta di una pronuncia della Cassazione, che al contrario ci sarebbero state buone probabilità di evitare l’evento. Per questo motivo aveva respinto la richiesta di archiviazione e disposto l’imputazione.
I consulenti verranno sentiti nel corso della prossima udienza, fissata al prossimo 17 giugno.
Sara Pizzorni