Attività del terziario,
-10% in dieci anni
Negli ultimi dieci anni Cremona ha perso il dieci per cento delle proprie attività del terziario. Quello che emerge dal focus – curato dell’Osservatorio Confcommercio e Istituto Tagliacarne – sulla demografia d’impresa nelle città italiane e nei centri storici, “deve spingere – confermano i vertici di Palazzo Vidoni – a un rinnovato impegno per invertire il trend e per rilanciare la città, anche attraverso il nostro comparto”. “Guardiamo con preoccupazione a questi dati – conferma il presidente Andrea Badioni – Tanto più che temiamo che gli effetti della “pandemia” non siano ancora del tutto valutabili. La ripresa è incerta, per le conseguenze dell’aumento delle spese fisse per le famiglie e la conseguente contrazione dei consumi interni”.
Nella città di Cremona – negli ultimi dieci anni – le realtà del commercio e della ristorazione sono passate da 1119 a 1004. Il periodo dell’emergenza, infatti, non ha inciso in maniera troppo profonda. Negli ultimi 18 mesi (i dati raccolti sono fermi al giugno 2021) il saldo tra aperture e cessazioni è negativo solo per 11 unità. La situazione è omogenea tanto per il centro storico quanto per le periferie (entrambe si attestano su una perdita del 10%).
Alberghi bar e ristoranti sono (debolmente) cresciuti. Dalle 399 imprese del 2012 si è arrivati alle 404 del 2019, dato rimasto poi invariato fino ad oggi. Dunque con un incremento percentuale dell’1%. Hanno comunque riletto la loro identità, spostandosi dalla periferia (-11 imprese) al centro (+16). Infine, aumentano i pubblici esercizi ma calano gli alberghi (passati da 13 a 9, con quatto chiusure nelle aree più lontane dal Torrazzo). Decisamente più difficile la situazione per il commercio tradizionale, che registra un -17%. Nel centro storico, poi, la flessione arriva al 19% (all’estero si ferma al 13).
Negli ultimi nove anni, perdite moderate si registrano per i negozi che vendono beni essenziali. Appare evidente, invece, un effetto composizione dei consumi sulla demografia d’impresa: Ad esempio gli alimentari che cedono l’8% (anche se in modo non omogeneo, con .il centro a -13% e la periferia a +6%) o le tabaccherie che in valore assoluto aumentano del 2% (anche se solo in centro +11% a fronte del -13% nel resto del tessuto urbano). Restano stazionarie le farmacie (+2%). Sorprendono le difficoltà degli esercizi specializzati dedicati alle applicazioni informatiche per le telecomunicazioni. (-22%). In discesa ci sono, poi, i consumi tradizionali, come i negozi non specializzati che scendono del 21%, o quelli che offrono articoli culturali e ricreativi (-15%).
Le voci positive più significative sono quelle del commercio ambulante (+6%) e quelle del commercio al dettaglio al di fuori di negozi, banchi e mercati (+13%). L’analisi del fenomeno, per Confcommercio Cremona, rappresenta una vera e propria minaccia per la vitalità delle nostre città. “I nostri dati confermano quanto, da tempo, stiamo dicendo: Cremona ha bisogno di un forte progetto di rilancio – dichiara Badioni – I negozi al dettaglio, in Italia, sono scesi del 15,3%. Da noi, su questa specifica voce, siamo al 17% e al 19% in centro. Ma a preoccuparmi ancora di più è il confronto con realtà limitrofe e con caratteristiche sovrapponibili alle nostre. Cito come esempio Piacenza e Mantova”.
Per l’istituto Tagliacarne, dall’altra sponda del Po, negli ultimi dieci anni la flessione è stata del 7% considerando il terziario (di fatto un terzo meno che da noi). Per i negozi in senso stretto le perdite si attestano al 12% in centro e al 14 considerando tutto il tessuto urbano. Anche Mantova registra, più o meno, gli stessi valori. Per la città virgiliana è tuttavia interessante evidenziare come, in questi anni, il turismo sia cresciuto. Gli alberghi (41 contro i nostri 9) sono aumentati del 7%.
“Occorre agire ad ogni livello, da quello nazionale, con progetti che, usando le risorse del PNRR, puntino alla rigenerazione urbana a quelli in ambito locale. – spiega Marco Stanga, vicepresidente provinciale di Confcommercio – Cremona deve scegliere e costruirsi il proprio futuro. Per invertire la rotta sono necessari modelli di governance che, con il contributo di chi nella città vive e lavora, sappiano trovare un giusto equilibrio e complementarietà tra iniziative da mettere in campo immediatamente e quelle più ambiziose, realizzabili nel medio-lungo termine. Il tempo è un tema fondamentale. Non possiamo pensare di rimandare troppo una riflessione profonda. Soprattutto tradurre le idee in azioni concrete. Non possiamo aspettare che quanto di buono è stato “seminato”, porti frutti capaci di cambiare in profondità l’identità della città. Guardiamo, solo per citare un esempio, al prezioso impegno della Amministrazione e dei privati per rafforzare la presenza universitaria. E’ una leva di sviluppo preziosa ma ne misureremo gli effetti positivi solo tra qualche anno. E fino ad allora? Partiamo da quanto si può fare subito: dall’accrescere sicurezza e pulizia, dal migliorare l’illuminazione e l’arredo urbano, fino ad incentivare le piccole e medie imprese evitando di autorizzare nuovi poli distributivi”.
“Come Confcommercio restiamo convinti che le città siano i luoghi del futuro. – conferma il direttore generale Stefano Anceschi, – Questa sfida deve coinvolgere tutti coloro che vi operano. Come Associazione stiamo lavorando per sostenere un terziario innovativo, in grado di avere vetrine virtuali accanto a quelle fisiche, ma anche di garantire vere esperienze emozionali di acquisto. E’ importante che le città continuino a svolgere un ruolo di integrazione economica al fine di raggiungere un complessivo innalzamento della qualità della vita e del lavoro, facendo leva sui “valori condivisi” del consolidamento del senso di sicurezza, del miglioramento dell’accessibilità e della mobilità a basso impatto ambientale, di una sempre più forte integrazione tra le funzioni urbane. Per questo sosteniamo il rafforzamento dei partenariati locali, come possono essere realizzati attraverso il Distretto Urbano. e la definizione di strategie condivise aderenti alle necessità di Cremona”.
“Guardiamo a questi dati – conclude Anceschi – con preoccupazione non solo come imprenditori ma, soprattutto, come cittadini. Negozi di vicinato, pubblici esercizi, attività turistiche e servizi sono un patrimonio della comunità perché svolgono, un ruolo oltre che economico anche sociale, generando relazioni di prossimità tra persone, rappresentano anche un presidio fondamentale per alleviare la tensione sociale e il diffuso senso di insicurezza e per ricucire il legame tra persone, luoghi e imprese. Generano, insomma, futuro per chi vive o lavora a Cremona”.