Omicidio Gloria: in Appello
confermato l'ergastolo per il papà
Leggi anche:
Ergastolo confermato in Corte d’Assise d’Appello a Brescia per Kouao Jacob Danho, il 39enne ivoriano che il 22 giugno del 2019, nel suo appartamento di via Massarotti, uccise la figlia Gloria, di soli due anni. Il presidente Giulio Deantoni ha accolto la richiesta del procuratore generale Marco Martani di confermare la condanna inflitta il 18 gennaio dell’anno scorso a Cremona per omicidio volontario. Anche in Appello è stata esclusa l’aggravante della premeditazione. “Audrey, vivi senza di noi…”, la frase contenuta nel manoscritto trovato in casa dell’imputato “non può, di per sè, essere indice di premeditazione”, secondo i giudici di primo grado, che hanno ritenuto non adeguatamente provato “che tale lettera sia stata scritta in un tempo apprezzabilmente antecedente l’attuazione dell’ignobile gesto criminoso, sì da rimandare ad un previo e programmato concepimento ideativo del delitto. La lettera vale a confessare l’omicidio e ne spiega i motivi, ma non attesta di per sè la premeditazione del gesto, circostanza che rimane da provare oltre ogni ragionevole dubbio”.
Uno dei motivi del ricorso della difesa era la capacità di intendere e di volere dell’imputato, che oggi ha seguito l’udienza in videocollegamento dal carcere di Pavia.
Per il procuratore generale, non c’è mai stato alcun elemento di sospetto. Danho “è sempre stato lucido, al lavoro (era operaio alla Magic Pack di Gadesco), è sempre stato puntuale ed ineccepibile e non è mai stato coinvolto in episodi di violenza”. “Con sua figlia”, ha detto ancora il procuratore generale, “è sempre stato amorevole. L’unico comportamento irregolare è stato l’episodio di lesioni nei confronti della ex compagna, che lui aveva percosso provocandole la lesione di un timpano”.
In questo processo, ha sottolineato Martani, “il figlicidio è stato attuato come forma di vendetta. Un fenomeno purtroppo diffuso che non bisogna per forza andare a cercare nelle culture mistiche. C’era già nei miti greci, con Medea che per vendicarsi di Giasone aveva ucciso i suoi figli”. Quella di Danho è stata “una vendetta estrema”. La compagna del 39enne, infatti, lo aveva lasciato e con la bimba si era trasferita nella casa famiglia di via Bonomelli. La lesione al timpano, il fatto che lui fosse possessivo, il fatto che le avesse taciuto di avere un’altra famiglia in Africa, l’avevano convinta a dire basta. “E lui”, ha detto il procuratore generale, “ha ucciso la loro bambina con assenza di scrupoli morali e con un fondo di malvagità fuori dal comune”.
Era “lucido”, Danho, che aveva tirato in ballo il fatto di essere rimasto vittima di un maleficio da parte della compagna e della madre, con cui non aveva buoni rapporti. Per la difesa, la magia come prova di un vizio parziale di mente. Per l’accusa, un particolare che non ha nulla a che fare con l’omicidio.
In Appello, i giudici hanno confermato per la parte civile, rappresentata dall’avvocato Elena Pisati per Audrey Isabelle, la mamma di Gloria ed ex compagna di Danho, un risarcimento danni di 100mila euro come provvisionale. “La mia cliente è sempre stata una madre amorevole che non ha mai voluto allontanare la figlia dal padre”, ha detto il legale, soddisfatta della sentenza. “La responsabilità dell’imputato era pacifica, così come lo erano le circostanze aggravanti dei motivi abietti e la sua capacità di intendere e di volere. La mia assistita è ancora molto provata da questa storia e non potrà mai trovare pace”.
Nell’appartamento di via Massarotti dove si era consumato il delitto, Danho si era trasferito dal primo giugno del 2019, mentre l’ex compagna e la figlia erano ospiti della casa protetta. Nella sua abitazione, Danho aveva accoltellato la figlia due volte, una al fegato e una ai polmoni. La piccola aveva agonizzato da mezz’ora a due ore e, come rivelato dai risultati dell’autopsia, si sarebbe potuta salvare se suo padre avesse chiamato subito i soccorsi. Il 39enne aveva confessato il delitto tempo dopo i fatti, mentre in un primo momento aveva puntato il dito contro un fantomatico rapinatore.
L’imputato era difeso dagli avvocati Giuseppe Bodini e Michele Tolomini. Nella sua arringa, quest’ultimo ha tenuto a precisare di non voler passare come “l’avvocato cattivo che difende il cattivo. Sono molto sereno, ma questo non vuol dire che non abbia vissuto anch’io questa tragica vicenda. Ma c’è il diritto di avere un giusto processo. Danho era partito dalla Libia dove aveva salvato la sua compagna e l’aveva portata in Italia. Questa è una storia di povertà e di emarginazione. Io e il collega abbiamo portato il nostro cliente ad una confessione”.
Prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio per decidere, l’imputato ha chiesto alla Corte di poter essere trasferito in un altro carcere. “Ho la pressione alta e qui non mi curano, non vado a scuola e non faccio nulla”.
Sara Pizzorni