Cronaca

Pazienti morti di Covid, Mosca:
"Nessun farmaco letale, era morfina"

Il medico di guardia sulla telefonata tra
l'ex primario e l'infermiere: "Forse un
equivoco sul farmaco da somministrare"

Mosca seduto accanto ai suoi legali

“In quei giorni di marzo e aprile c’erano fiumi di persone che arrivavano in ospedale, avevamo due saturimetri in croce, continuavamo a chiedere bombole di ossigeno. Era un marasma”. A parlare è Morena, infermiera, uno dei testimoni del pm sentita questa mattina in Corte d’Assise a Brescia nella seconda udienza del processo nei confronti di Carlo Mosca, 47 anni, domiciliato a Mantova, originario di Persico Dosimo, ex primario del pronto soccorso dell’ospedale di Montichiari, arrestato nel gennaio dell’anno scorso per omicidio volontario plurimo per aver somministrato farmaci, risultati letali, a tre pazienti affetti da Covid. Mosca è ai domiciliari dal 25 gennaio dell’anno scorso. 

Tre i decessi contestati: Natale Bassi, 61enne di Ghedi, Angelo Paletti, 79enne di Calvisano, ed Ernesto Nicolosi, 80enne di Carpenedolo, morti durante la prima ondata pandemica. I familiari dei tre deceduti si sono costituiti parte civile.

Per il pm Federica Ceschi, il medico avrebbe somministrato Succinilcolina e Propofol, farmaci incompatibili in assenza di intubazione, in quanto inducono il blocco dei muscoli, e se somministrati ad un degente da non intubare, questi va in arresto respiratorio e muore.

“Non ho mai somministrato Succinicolina a pazienti da non intubare”, si è sempre difeso Mosca. A denunciarlo era stato Michele, l’infermiere del pronto soccorso che il 23 aprile del 2020 aveva presentato un esposto contro l’imputato. Il 18 marzo del 2020, con l’ospedale in piena emergenza Covid, Michele, che era di turno, aveva risposto ad una telefonata di Mosca che gli avrebbe chiesto di somministrare ad un paziente due fiale di Succinilcolina. “Sono rimasto stupito”, ha raccontato l’infermiere, “perchè questo paziente non doveva essere intubato”. 

 

 

Per Mosca, però, quell’infermiere non avrebbe capito. “Io ho chiesto della morfina, non la Succinilcolina”, sostiene l’ex primario. “Lo chiarirà anche la consulenza tecnica. Da quel momento è nato il gossip su di me”. Invidie, per il medico, a cui poco tempo prima qualcuno aveva bucato le gomme della sua auto in sosta nel parcheggio dell’ospedale. 

Ad assistere a quella telefonata, a detta dell’infermiere Michele, c’era il medico di guardia Simone Collura, che però oggi ha smentito di essere stato presente. “Quel giorno”, ha raccontato Collura, “avevo ricevuto una telefonata di Mosca relativa ad un paziente Covid in condizioni gravi. Io pensavo avesse ancora una speranza e volevo aspettare, mentre lui era di opinione diversa e pensava fosse già un paziente da accompagnare. Accompagnare nel senso di somministrargli morfina per aiutarlo a non soffrire, non a somministrargli farmaci per provocargli la morte. C’è una bella differenza. Pochi minuti dopo Mosca aveva telefonato all’infermiere che aveva risposto in un’altra stanza. Io non ho ascoltato la telefonata”.

In quella conversazione, Michele ha sostenuto di aver ricevuto la richiesta di Mosca di somministrare la Succinilcolina, e aveva espresso il suo dissenso a Collura, dicendo: “Questo è un omicidio, così si ammazzano le persone”. “Potrebbe esserci stato un equivoco”, ha ammesso l’ex medico di guardia, oggi dirigente medico all’Ats di Brescia. Collura ha spiegato che quel paziente era stato poi valutato da un anestesista e che si era deciso di accompagnarlo con la morfina. 

Di quella telefonata con Mosca, l’infermiere Michele aveva parlato con alcuni colleghi, tra cui Massimo, ed era partito un tam tam di messaggi e telefonate. Morena era una delle colleghe che era stata contattata da Massimo. “Qui vengono utilizzati farmaci su pazienti compromessi a livello respiratorio”, le aveva detto Massimo, aggiungendo che si era mosso per cercare le prove e che aveva consultato un suo amico carabiniere. Morena era caduta dalle nuvole, sostenendo di non saper nulla e di non aver mai visto nulla di sospetto. 

 

 

“In quei giorni c’era un afflusso importante di pazienti critici, pazienti che avevano un immediato bisogno di ossigeno”, ha raccontato oggi Rosalinda, anche lei infermiera. “Nessuno sapeva cosa stava succedendo. Lavoravamo con un numero limitato di personale e presidi e si facevano scelte su chi intubare”. Tra i pazienti di Rosalinda c’era anche Natale Bassi. “Era un omone, molto alto e robusto, e aveva una grave insufficienza respiratoria. Credo fosse portatore di pacemaker. Aveva la maschera di ossigeno ed era agitato. Quando è peggiorato l’ho portato nella stanza di emergenza perchè era più attrezzata. Lì c’erano altri due pazienti”. In quella stanza, oltre a Rosalinda e agli altri due pazienti, c’erano un collega, due operatrici sanitarie e il primario Mosca. “Ad un certo punto”, ha raccontato l’infermiera, “Mosca ci ha chiesto di uscire dalla stanza. Non era mai capitato, io e il collega eravamo straniti, ma ho pensato volesse valutare il paziente in una condizione di più calma”.

Per l’accusa, il medico voleva rimanere solo per somministrare i farmaci letali, mentre Mosca sostiene di aver agito così perchè in quella stanza in cui c’erano sette persone l’aria era già satura ed era pericoloso rimanere. “Avevo già cinque infermieri a casa malati”, ha spiegato l’imputato fuori udienza, “non volevo che rischiassero anche gli altri. Indossavano tutti la Ffp2, e invece dovevano indossare la Ffp3”.

Quando Rosalinda, dopo 10 minuti, era tornata nella stanza, Bassi non respirava più. “Mosca e Collura sono entrati subito dopo di me. Il paziente era morto”. Del caso di Natale Bassi era a conoscenza anche il medico di guardia Collura. “Gli era stato messo il casco e le sue condizioni erano diventate stabili, anche se era un paziente che difficilmente avrebbe superato le 24 ore”. In cartella clinica, Collura aveva scritto: “improvviso arresto cardiocircolatorio”: in aula il medico di guardia ha spiegato che poteva aver avuto un evento emorragico o embolia polmonare. “Con il Covid, che all’epoca ancora non conoscevamo, un paziente poteva avere un repentino peggioramento”.

Dell’altro paziente deceduto, Angelo Paletti, ha parlato ancora l’infermiera Rosalinda: “aveva difficoltà respiratorie importanti e anche problemi igienici. Era sporco ed emanava un cattivo odore. Era un codice rosso, l’ho affidato alla sala emergenza. Era grigio in volto e sulla schiena aveva piaghe da decubito. Era molto grave”.

Si torna in aula il prossimo 21 febbraio.

Sara Pizzorni

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