I minori e i reati, procura: "Non
fenomeno criminale, ma sociale"
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Danneggiamenti, furti e ricettazioni, rapine ed estorsioni, risse e lesioni, violenze sessuali, atti persecutori, maltrattamenti in famiglia, diffusione di immagini pornografiche a mezzo di social network e reti informatiche. Sono i reati commessi da minorenni nel Distretto di Brescia, che comprende anche le province di Cremona, Bergamo e Mantova. Nella relazione del procuratore generale presso la Corte d’Appello Guido Rispoli per l’anno giudiziario, è contenuto il resoconto del procuratore capo dei minori di Brescia Giuliana Tondina. Nell’anno appena terminato diverse sono state le segnalazioni per la presenza di bande di ragazzini autori sia di reati da strada, sia di comportamenti comunque irregolari e molesti per i cittadini. Sulla base dei dati, però, il procuratore ha smentito l’esistenza di bande e di una ondata di criminalità minorile. “Ingiustificato”, scrive, “qualsiasi timore o percezione di una esplosione o anche solo di una crescita della criminalità minorile”.
Complessivamente nel Distretto le denunce contro i minorenni per reati predatori sono state 317, a fronte delle 374 dell’anno precedente. “E’ pur vero”, ha comunque ammesso Tondina, “che si è riscontrata una presenza più visibile e attiva di gruppi di ragazzi, dovuta in parte al fatto che, chiuse le discoteche e gli impianti sportivi, i luoghi di incontro, stazionamento e anche la commissione dei reati si sono spostati nel cuore dei centri urbani, rendendo più visibili tanto la presenza quanto i reati. Un incremento della generale condizione di malessere degli adolescenti e preadolescenti, collegabile in parte, all’impatto della pandemia e delle restrizioni vissute, ha probabilmente generato in una fascia di popolazione giovanile anche una più elevata reattività e una maggiore facilità di passare all’atto, compreso l’atto deviante”.
Per il procuratore, “la concreta conoscenza e approfondimento di queste realtà conferma che non si tratta di bande, nel senso di strutturate realtà finalizzate alla commissione di reati o al controllo del territorio. I raggruppamenti sono fluidi, attorno ad alcuni nuclei più stretti e stabili di amici. I fenomeni rilevati nel Distretto vanno ricondotti più alle dinamiche del cosiddetto co-offending, vale a dire al commettere insieme comportamenti devianti, come aggredire altri o compiere reati come furti e rapine, associando anche atti violenti o distruttivi, come una delle modalità in cui si sviluppa la relazione tra i componenti del gruppo.
I ragazzi e le ragazze coinvolti nelle condotte trasgressive, molti giovanissimi, appaiono caratterizzati da grande immaturità personale ed emotiva, unita all’assenza di autorevoli riferimenti familiari e ad esperienze di vuoto progettuale ed esistenziale che la relazione con il gruppo colma o copre. La concreta conoscenza di ciascuno di questi ragazzi, autori di reato, fa emergere dati che dovrebbero evocare la necessità di capillari interventi precedenti e diversi dall’intervento penale. Alcuni di questi giovani hanno deficit cognitivi non riconosciuti, o riconosciuti tardivamente, o problematiche di strutturazione psichica, mai riconosciute e mai curate: deficit educativi o altre gravi criticità dell’ambiente familiare”.
Per Tondina, “si tratta perciò di un fenomeno sociale, più e prima che di un fenomeno criminale. Ed è su un terreno sociale che va contrastato, ferma restando la risposta penale, la cui efficacia è però limitata in quanto concentrata sul singolo soggetto autore di reato, ed interviene a valle della commissione del fatto”.
Sara Pizzorni