Ambiente

L'inquinamento aumenta le possibilità
di infezione da Covid: uno studio lo prova

La ricerca dell'Università dell'Insubria, condotta sulla popolazione di Varese, mette in relazione i contagi da SARS-CoV-2 con la presenza in atmosfera di PM 2.5

L’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico può aumentare il rischio di infezione da SARS-CoV-2: lo suggerisce una ricerca condotta da Epimed, il Centro di Epidemiologia e medicina preventiva dell’Università dell’Insubria i cui risultati sono pubblicati oggi sulla rivista Occupational & Environmental Medicine, del gruppo editoriale Bmj. Lo studio, relativo alla popolazione adulta della città di Varese (62.848 persone), seguita nel tempo da inizio pandemia a marzo 2021, segnala un aumento del 5% nel tasso di infezione per incremento di 1 microgrammo/metrocubo di PM2.5, ossia 294 casi in più ogni centomila persone per anno.

Fin dall’inizio del periodo di pandemia è stato osservato – anche in Italia – che le aree più esposte all’inquinamento atmosferico erano anche quelle con tassi di infettività da SARS-CoV-2 più elevati. Queste osservazioni erano basate principalmente su dati aggregati, come livelli medi di inquinanti atmosferici e numero di casi di Covid-19 per provincia, ed erano limitate alle primissime fasi della pandemia. Sebbene importanti per identificare primi segnali di associazione, avevano bisogno di conferma da studi più robusti, con dati su singoli individui e su orizzonti temporali più lunghi.

Spiega Giovanni Veronesi, professore di statistica medica e primo autore del lavoro: “Nel nostro studio abbiamo seguito prospetticamente nel tempo ogni adulto residente nella città di Varese, l’ottava città più grande della Lombardia, vicino al confine con la Svizzera, dall’inizio del periodo di pandemia (febbraio 2020) fino a marzo 2021. Per poter realizzare questo, è stato necessario uno sforzo collettivo che ha coinvolto non solo l’Università di Varese e Como e quella di Cagliari; ma anche l’Osservatorio Epidemiologico di Regione Lombardia e l’Agenzia regionale Aria, che hanno fornito i dati sanitari; e Arianet, una società privata leader nel campo delle modellizzazioni degli inquinanti ambientali, che ha messo a disposizione i dati sull’esposizione ambientale di lungo periodo”.

Dopo aver preso in considerazione molte delle caratteristiche cliniche e demografiche che possono aumentare la suscettibilità a SARS-CoV-2, oltre all’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico, i risultati indicano che l’aumento di 1 microgrammo/metro cubo nel livello medio annuo di PM2.5 era associato ad un aumento del 5% dei tassi di infezione, corrispondente a 294 ulteriori casi di positività da Covid-19 per 100mila abitanti/anno. Relazioni simili valgono per altri inquinanti, come PM10, NO e NO2.

“È noto che l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico – sottolinea il professor Marco Ferrario, autore senior del lavoro – aumenta il rischio di malattie respiratorie e cardiovascolari, attraverso l’infiammazione persistente e compromissione dell’immunità. Presumibilmente, gli stessi percorsi sono coinvolti nel legame tra inquinamento atmosferico ed incremento nei tassi di infezione da Covid-19”. E aggiunge: “I nostri risultati da soli non sono in grado di stabilire il nesso di causa-effetto, ma forniscono la prima solida prova empirica in merito al legame finora solo ipotizzato che collega l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico con l’incidenza di Covid-19. Per questo meritano una futura generalizzazione in diversi contesti”.

Il team di ricerca – composto dai professori Giovanni Veronesi, Sara De Matteis, Giuseppe Calori, Nicola Pepe, Marco Ferrario – è quindi già al lavoro per espandere lo studio. “D’altro canto – conclude il professor Veronesi – se il futuro di SARS-CoV-2 è quello di diventare endemico nella popolazione, i risultati già oggi indicano che l’infezione è l’ennesima minaccia di salute per persone che già soffrono di maggiori tassi di malattie respiratorie e cardiovascolari legate all’inquinamento. Per questo, è auspicabile che i governi incrementino senza ulteriori attese i loro sforzi per contenere e ridurre i livelli di inquinamento atmosferico, anche come misura di contenimento dell’impatto del Covid-19 sulla salute pubblica”.

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